MERCOLEDÌ, 29 APRILE 2009
Pagina 41 - Cultura e Spettacoli
Il pianista piemontese protagonista del concerto «Divenire», lunedì scorso al Teatro Comunale di Cagliari
L’artista procede per grandi affreschi tra improvvisazione e new age
GABRIELE BALLOI
Nel 2006 Ludovico Einaudi incide, per la famosa etichetta britannica Decca, l’album «Divenire». Appena un anno dopo, viene invitato dal Cedac per la rassegna estiva «La Notte dei Poeti», che lo vide esibirsi all’aperto nella suggestiva cornice dell’antico teatro romano di Nora, a due passi dal mare. Lunedì, questa volta in occasione del IX Festival di Sant’Efisio e della Stagione concertistica del Lirico, Einaudi è stato ancora in Sardegna («torno sempre a suonarvi con piacere» dichiara lui stesso), per salire sul palco del Comunale in un recital pianistico che, nel titolo e negli intenti, si riallaccia nuovamemte al suo ultimo lavoro.
Non a caso apre il concerto con «Uno», primo pezzo del disco «Divenire». La modalità esecutiva fra l’altro rimane ancora la stessa, da lui prediletta e messa a punto negli ultimi anni.
Si tratta di alcune sillogi d’ampio respiro, raccolte del tutto estemporanee, collage di circa trenta minuti che costruisce nel momento a partire da un quadernetto poggiato sul leggio, da cui sceglie, sempre ad libitum, i brani da annodare l’uno all’altro e su cui improvvisare.
Così Einaudi pesca dalla sua produzione, tanto dai dischi quanto dalle colonne sonore, ricamando itinerari puntualmente imprevedibili, destinati a non essere mai gli stessi per ogni esibizione. Ma l’idea di ciascun singolo concerto come di un fatto a sé stante, assolutamente unico e irripetibile, è solo una delle molte sfaccettature di questo pensiero, tanto caro a Einaudi, che è il divenire perenne d’ogni cosa.
Questo modo di procedere per grandi affreschi, in cui il pianista e compositore piemontese organizza le sue performance, potrebbe apparire a qualcuno come una forma sonora di quello che Wilde e Stendhal chiamavano egotismo, ossia una troppo compiaciuta espressione di sé, un instancabile crogiolarsi nel proprio atto creativo/improvvisativo.
Eppure, nella musica di Einaudi la scaturigine è forse addirittura opposta. Il concetto filosofico del panta rei suggerirebbe infatti l’annullamento dell’io, realtà effimera e transitoria. Perciò nessun solipsismo nell’estetica musicale di Einaudi.
Anzi, nelle linee melodiche ripetitive, cicliche e di una semplicità cristallina, frutto però di una decantazione più meditata di quanto non sembri al primo ascolto (una probabile eredità di Luciano Berio con cui ebbe modo di perfezionarsi), nell’essenzialità distillata di armonie dal sapore new age, si cela verosimilmente il segreto del suo successo. Il personale e poetico minimalismo di Einaudi si rivela come una traduzione artistica dell’immagine di Eraclito per cui “non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume”. «Tutto scorre» diceva infatti il filosofo greco. Scorre pure la musica di Einaudi, nel suo melos rassicurante e infinito, sempre uguale e sempre diverso, come un corso d’acqua che non vuole arrestarsi. Brani estrapolati dagli album «Le Onde», «I giorni», «Divenire» e dalla colonna sonora per la fiction tv di Giacomo Campiotti «Dottor Zivago», si susseguono in ordine sparso, come amalgamandosi, con altri brani inediti che andranno a far parte di un nuovo cd di cui il musicista annuncia, durante il concerto, la prossima uscita.
Sarà il quindicesimo di una fortunata serie di dischi, iniziata nel 1992 con «Stanze», quando scrisse 16 pezzi per l’arpa elettrica di Cecilia Chailly. Non tutti sanno in effetti quanto sia eclettica dopotutto l’ispirazione di Einaudi. Nato a Torino, classe 1955, figlio del notissimo editore Giulio Einaudi e nipote del Presidente della Repubblica Italiana, Luigi Einaudi, Ludovico cominciò gli studi musicali al conservatorio G.Verdi di Milano con un importante compositore contemporaneo (ospite del Lirico alcuni anni fa) quale Azio Corghi, e continuando poi nientemeno che con Berio.
Quindi, passando per le avanguardie, è giunto alla sua cifra stilistica anche attraverso opere sperimentali, a metà strada fra danza e teatro, nonché scrivendo musiche per film (l’ultima nel 2007, per «This is England» di Shane Meadows).