Le creature che abitano nei rendering comunicano poco. Sono regolate da una legge marziale, mai più di tre. In genere esseri solitari con le cuffiette. Mai un vecchio. Bambini educati. Organismi soavi. Telefonano, mandano sms, fanno jogging (mica corrono), biker (mica ciclisti), felici in un’estate senza ombra.
Nei rendering niente piagnucolii, niente comitati e associazioni insolenti, mai una brutta giornata, cieli sereni.
Da un rendering, una volta entrati, non si può uscire mai più. Però ci si può saltare dentro facilmente e muoversi tra i beati.
Non lamentarti, scegliti un bel rendering, lasciati andare.
Anche i rendering angosciosi della spiaggia del Poetto di Cagliari sono diventati realtà.
Ci vivono gli eremiti di Fb sicuri di essere vivi e connessi. Per loro la vita è un rendering e la specie umana è rappresentata da quegli scriteriati che passeggiano dentro progetti spaventosi.
Il nuovo Poetto, violentato nel 2002, ha concluso l’agonia iniziata allora. Oggi hanno solo cancellato le ultime tracce del passato, sradicati gli oleandri killer, tagliati grandi alberi così non ci vanno a sbattere biker e runner (gente che corre).
D’altronde cosa ce li abbiamo a fare il Pul, le delibere, i progetti? E con il Pul è arrivato, inesorabile, il colpo di grazia dei chioschi stalinisti tutti uguali.
Poco importa, perché il Poetto era già agonico e certe agonie bisogna farle finire.
Prima girava intorno alla bellezza, ora gira intorno a baretti e birrette.
E ficcano dentro un rendering raccapricciante anche Cala Mosca, così il miracolo di un sito integro scompare in un battito di ciglia. E il genio del luogo scappa anche da qui.
Insomma, il rendering di Calamosca con il biker, il runner, il tizio solo nell’universo che anziché l’Infinito fissa l’ipad convinto che Fb esista in natura, sono il segno certo che Cala Mosca è perduta per sempre.
Un architetto deconnesso proporrà metri cubi anche alla Sella del Diavolo e qualcuno risponderà che va bene, tanto la vita è tutto un rendering.
Per fortuna gli abitanti dei rendering non si possono accoppiare tra loro – troppo occupati con corse, telefonate e post imbecilli – e così si estingueranno all’interno del computer che li ha messi al mondo.
E le altre parti della città?
Eh, basta poco alla fine dell’opera. Cagliari è una città piccola e la si disfa in fretta anche se si è costruita lentamente. E si disfa rassomigliando ogni giorno di più al suo hinterland, assorbendone la bruttezza. Insomma, anziché guidare viene guidata, imita.
E’ un fenomeno inesorabile.
Chi avrebbe immaginato il Bastione di Saint Remy trasformato in box doccia? Il portico del ghetto irriconoscibile, sfigurato contro ogni regola? Oppure i campetti sotto le mura e la costruzione abusiva, in spregio alla norma? Quella costruzione è simbolica: è contro la legge, ma sta là.
Vince chi può, si vede.
Però il diritto, si sa, è testardo, si ficca dappertutto e riemerge forte proprio quando sembra perduto.
Ma una speranza c’è. Qualcosa di buono accade.
Le metaforiche scalette di Santa Teresa.
Si sono fermati e riflettono. E’ un segno buono. E magari le restaurano, proprio come nelle città dove amano e conservano il proprio passato. Dove sul restauro e sulla conservazione hanno perfino fondato un’intera economia.
Le prime fotografie della Sardegna sono del 1854. Un francese, Edouard Delessert, fotografa l’isola e Cagliari. E anche le scalette. Quella foto è commovente e contiene anche l’oggi.
E Calamosca? Oh, forse là non vomiteranno cemento nella nuova strada, conserveranno il “naturale” così raro in una città e tutto resterà illuminato dai raggi della luna. Basterà la luna. Senza rendering.
E poi, tutti sappiamo quale grande valore, anche economico, abbia l’intatto. La strada di cemento e i gabbioni a Calamosca causerebbero un danno economico grave e irreversibile.
Anni fa qualcuno voleva illuminare la Sella del Diavolo. L’idea dozzinale durò un soffio perché la Sella di notte fa luce da sé anche senza la luna.
Insomma ci salveremo, magari solo a metà, però ci salveremo.
I luoghi ci rappresentano, quando vediamo un luogo vediamo anche i suoi abitanti e in un rendering non ci vogliamo vivere.
Giorgio Todde