Cultura e Spettacoli
Lirico, l’illustre bacchetta dirigerà domani sera la celebre Sachsische Staatskapelle di Dresda
Comunale, Chung chiude la Stagione
Nei giorni scorsi la sfavillante prova di Yves Abel e Benedetto Lupo
GABRIELE BALLOI
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CAGLIARI. Giunge al termine l’ottava edizione del Festival di Sant’Efisio, suggellando così anche la Stagione concertistica 2007-2008 del Teatro Lirico. Un calendario che pure quest’anno si è mostrato ricco e variegato per gli appuntamenti musicali sempre di prim’ordine. Come l’ultimo, che domani alle ore 20,30 sul palco del Comunale vedrà ospiti d’eccezione nientemeno che la Sächsische Staatskapelle Dresden, storica e grandiosa compagine tedesca, una delle più antiche orchestre al mondo (fondata nel 1548), e che verrà guidata dall’illustre bacchetta di Myung-Whun Chung, nella celeberrima «Quinta Sinfonia» di Beethoven e nel «Primo Concerto per pianoforte e orchestra» di Brahms che avrà come solista Lars Vogt. Ma di notevole pregio era anche il penultimo concerto di giorni fa. Con i prodigi musicali di Ravel e la sfavillante direzione di Yves Abel. E soprattutto, al pianoforte, le mani felici di Benedetto Lupo. Soltanto una, a dire il vero, nel «Concerto in re maggiore» scritto per la mano sinistra, e adoperate entrambe nel «Concerto in sol maggiore». Il famoso «Concerto pour la main gauche», composto appositamente nel 1929-’30 per il pianista austriaco Paul Wittgenstein che perse in guerra il braccio destro, e per questo al genio musicale di Ravel commissionò dei lavori unicamente per mano mancina. È incredibile quanta potenza espressiva, corposità sonora ed eloquenza melodica Ravel abbia saputo ricavare dall’articolazione di sole cinque dita. Una pagina che di “sinistro” ha persino il carattere, spesso allucinato, febbrile, scalpitante, suddivisa in tre parti legate fra loro senza soluzione di continuità. Benedetto Lupo è quindi impegnato in una prova doppiamente virtuosistica. La sua esecuzione, oltre a superare brillantemente il peso tecnico dell’opus raveliano, restituisce appieno la ricchezza eteroclita, il tripudio di colori, l’instancabile varietà della scrittura pianistica, ottimamente accompagnato fra l’altro dalla bacchetta di Abel, che tira fuori dall’orchestra un suono sempre fulgido e infiammato, come pure avviene nel “Concerto in sol maggiore”. Anche qui difatti Ravel è un mago dello sviluppo, dell’invenzione ritmica e timbrica, ancor più accentuata nella vivace lettura del maestro francese, energica, scattante, galvanizzata, al passo con la convulsa policromia d’orchestrazione. Meno impervio per il pianista, rimane pur sempre una sfida renderne insieme la leggerezza e la ricercatezza di stile. Sono tre movimenti: il primo pervaso da un’atmosfera che ricorda vagamente Gershwin o una sorta di Copland ante litteram; il secondo esordisce con semplicità disarmante, ma via via si complica in tutta una serie di efflorescenze melodiche; il terzo, scatenato e spumeggiante, attinge più chiaramente dal folclore iberico. È nel 2º che Lupo ottiene forse il risultato migliore, con un’Adagio d’interpretazione eterea, soave, che pure quando più fitto nel tessuto sonoro conserva un nitore del tutto adamantino, lo stesso che mette nell’incantevole bis raveliano: «Pavane pour une infante défunte». In programma vi era anche la «Sinfonia n.41 in do maggiore K.551» di Mozart. Si tratta della «Jupiter», composta nel 1788 a Vienna, una delle più celebri ed eseguite, a cui Abel dà un’inedita freschezza, un piglio esuberante, quasi azzardato ma molto efficace.