La più votata per il Municipio ha le deleghe all'Urbanistica e alla Pianificazione
Francesca Ghirra: c'è una città nascosta da recuperare «Ero pronta a impegnarmi in qualunque campo avesse deciso il sindaco». Francesca Ghirra mette ordine nella tempesta estiva di indiscrezioni che hanno preceduto la nomina all'assessorato all'Urbanistica: «In un'intervista ho detto che, se ci fosse stata l'occasione, mi sarebbe piaciuto ricoprire un incarico fino a quel momento tradizionalmente maschile. Pensavo alla presidenza del Consiglio comunale o all'Urbanistica. Sono stata giudicata adatta a quest'ultimo ed eccomi qua».
Trentasette anni agli sgoccioli - «ne compirò trentotto il 25 luglio» -, funzionaria dell'assessorato regionale agli Enti locali e Urbanistica, la gavetta iniziata con la militanza a sinistra, poi il Consiglio circoscrizionale di Sant'Avendrace, la presidenza della Commissione cultura nel primo mandato di Massimo Zedda, rielezione record, più votata tra i consiglieri comunali: «Mi ha sorpreso, un consenso così vasto mette ansia, sento di avere una grande responsabilità. Penso che sia stato premiato l'impegno di questi anni».
La nuova Giunta è stata giudicata deboluccia.
«Massimo Zedda è coraggioso, sta scommettendo su molti di noi. Forse qualcuno si aspettava maggiore continuità, ma io mi fido molto della visione e della percezione del sindaco, credo che abbia fatto scelte ben ponderate».
È imbarazzata a governare con ex esponenti del centrodestra confluiti nel Psd'az?
«No. Abbiamo un programma e quello sarà la nostra stella polare».
Nonno e padre politici quanto l'hanno aiutata?
«Nella formazione, sicuramente. Mi dispiace che nonno non ci sia più per vedere i risultati dell'impegno».
Quante porte le hanno aperto?
«Conoscere tante persone e possibilmente essere stimati - è il loro caso - sicuramente aiuta, per il resto penso di aver guadagnato quello che ho. I miei genitori sono amici di tanti docenti universitari, per evitare conflitti di interesse ho studiato a Napoli, quindi...»
D'ora in poi sarà dirimpettaia del consolidato potere edilizio: teme effetti collaterali?
«Non vedo rischi. Chi amministra innanzitutto deve pensare al bene della comunità, che contempla anche interessi privati. Ci sono tante cose da fare, il dialogo con i privati è fondamentale».
L'obiettivo dei prossimi cinque anni?
«Evitare il consumo di altre porzioni di suolo puntando a riqualificare ciò che esiste».
Un esempio?
«L'intervento dei privati sarà determinante a Buoncammino, nell'ex clinica Aresu, nell'ex ospedale civile, nell'ex ospedale Marino. Però prima di decidere chi e come ristrutturerà va stabilita la funzione che avrà l'immobile».
Quando sarà adeguato il piano urbanistico al piano paesaggistico regionale?
«Si inizia subito a lavorarci».
Piana di San Lorenzo?
«Fa parte di quei margini della città su cui dovrà essere presa una decisione».
Secondo lei?
«Sarebbe bello se Cagliari riuscisse a recuperare zone agricole, che oggi non ha. Anche perché l'urbanizzazione e la creazione delle infrastrutture in tutta la zona avrebbe dei costi che ricadrebbero sui cittadini».
Stadio?
«In quella parte di Cagliari abbiamo in ballo il nuovo Sant'Elia e il polo velico di Marina Piccola. La Regione ha riconosciuto l'importanza dei progetti, ora devono essere concretizzati. Quello col Cagliari calcio è un esempio virtuoso di collaborazione con i privati, perché non esportare il modello?»
Come ridisegnerete Marina Piccola?
«Puntiamo a riqualificare ciò che esiste con la nascita di un polo velico internazionale. Se l'Italia ospiterà le Olimpiadi, Cagliari sarà la sede della parte velica».
Tuvixeddu?
«Ha un vincolo paesaggistico, quindi deve essere sottoposto a una copianificazione Regione-Ministero-Comune».
Cualbu?
«Non so se abbia ancora interesse a costruire, penso che si possa aprire un ragionamento su soluzioni alternative, anche con lui. Certo, in questo caso la situazione è più complessa per via della causa in corso».
Una zona irrecuperabile?
«Forse quella del Consorzio industriale di Macchiareddu, anche se in realtà nulla è impossibile».
Perché Cagliari non è mai riuscita trasformare Molentargius in qualcosa più di un piccolo stipendificio?
«Forse per la contrapposizione tra chi lo vive come un parco, chi come un pezzo di città: dopotutto Medau su Cramu è dentro i confini. Ormai ci sono tutti i presupposti per farlo decollare».
Indispensabili nuovi alberghi?
«Sono così diffusi i b&b, offrono tali e tante sistemazioni, che risponderei no. Se più avanti la città diventerà sede fissa di grandi eventi allora si potrà ragionare. Credo molto nel recupero dell'esistente: ci sono esempi ottimi, i piccoli albergo nati al Poetto sono tra questi. E non sono i soli».