Credo sia molto giusto che tutti i cagliaritani accolgano la seconda amministrazione cagliaritana guidata dal riconfermato Sindaco Massimo Zedda. con un cordiale e sentito augurio di buon lavoro. Perché riesca a ridare alla città quella dignità di ruolo e quelle capacità di guida che indubbiamente dovrebbe possedere, come città capoluogo dell’isola dei sardi. Perché di problemi aperti, anche assai importanti, si stima che in città ce ne siano parecchi.
Si è infatti dell’avviso che Cagliari stia attraversando un periodo “grigio”, decisamente anodino, ed abbia quindi bisogno di ritrovare vigore, di riprendersi il suo ruolo di capitale a cui spetta il compito istituzionale di dover tracciare ed aprire la strada dell’isola verso il progresso.
Infatti, specie in questi ultimi tempi, è parsa una città demotivata, rimasta impaurita, smarrita e disarmata di fronte alle tante invidiose accuse che le sono state via via addebitate da ogni dove e per ogni pur minima causa (il cagliaricentrismo è divenuto, infatti, quasi un mantra da Palau a Calasetta). Di fronte a questi addebiti è parsa disorientata ed avvilita, incapace d’ogni reazione di fronte all’accusa d’essere il colpevole “untore” delle tante infezioni pestifere (nell’economia come nel sociale) di cui l’isola ne soffriva le pene. Non capendo, o non sapendo capire, che quelle accuse erano rivolte al suo mostrarsi più capitale parassitaria che autrice e propugnatrice di progresso.
Proprio per queste considerazioni, quei nostri auguri assumono un significato ancor più pregnante. Perché essi contengono, proprio per quel “buon lavoro”, il richiamo a dover ridare alla città la sua iniziale maiuscola, perché ritorni ad essere effettivamente Città. Non paia, questo, un semplice espediente dialettico. Esso richiama la necessità di ritrovare la consapevolezza di dover essere, con i suoi valori, creatrice e distributrice di eccellenze, in modo da avviare una fertile stagione di sviluppo che sia armonico e coordinato con le attese e le esigenze dell’intera isola. Ed è stato poi questo, nella storia, il ruolo ed i meriti che vanno riconosciuti a quelle comunità urbane a cui i destini geo-politici hanno affidato il compito d’essere leader di territori vasti.
Ci sarebbe quindi necessità d’avviare un discorso sulla Città del XXI secolo. Su come dovrà conformare e realizzare il suo futuro. E, più in particolare, sul come la Cagliari di oggi e di domani potrà disegnarsi e costruirsi un domani omologato alle esigenze di questo nuovo tempo. Perché Cagliari non è più quella che avevano immaginato il Bacaredda ed i suoi amici a fine ’800, e neppure quella che nel trentennio ’50-’80 del secolo scorso aveva vissuto un frenetico renewal, una spasmodica ripresa dopo le tante ferite, fisiche e morali, ereditate dalla tragica esperienza bellica dei bombardamenti aerei.
La Cagliari d’oggi, su cui dovranno impegnarsi Zedda ed i suoi amici, è ben altra cosa, ha ben altre esigenze, richiede ben altri impegni. Soprattutto richiede l’elaborazione di una nuova cultura. Che contenga in sé dei concetti assai più vasti di quelli fisico-spaziali assai cari a certi urbanisti o di quelli tecnico-funzionali di taluni ingegneri fanatici della mobilità lenta. Perché la Città di questo nuovo secolo è ben altra cosa che un insieme ben ordinato di metri-cubi o di invitanti rotonde: ha soprattutto bisogno d’essere sempre più civitas che solo urbs, come ha sostenuto autorevolmente Bernardo Secchi; è prima di tutto una comunità di famiglie, di uomini e donne che la vivono o la usano. A cui occorre saper dare un ordinamento urbano, fisico e virtuale, che sia rispettoso delle esigenze d’una modalità di vita che non è più quella di mezzo secolo or sono.
Ora, rispetto al passato, anche quello più prossimo, Cagliari ha visto emergere, peraltro molto disordinatamente, dei processi che hanno profondamente modificato il suo capitale sociale, cioè quell’insieme di valori, di esigenze e di bisogni condivisi dall’intera comunità dei suoi abitanti. Cioè, per dirla ancor più semplicemente, i cagliaritani di oggi sono assai differenti da quelli che ebbero come sindaci Luigi Crespellani, Giuseppe Brotzu, Salvatore Ferrara o Paolo De Magistris. Eppure molte scelte municipali, anche recentissime, parrebbero non essersi accorte, non avendone tenuto conto, delle grandi mutazioni avvenute nel tessuto sociale ed economico con l’inizio di questo terzo millennio.
Mutazioni che sono molto importanti e significative, a partire dal più semplice degli aspetti, quello dei numeri: di fronte ad un valore decrescente della sua popolazione residente, Cagliari ha visto crescere in maniera esponenziale il numero quotidiano dei cosiddetti city-users, di quanti cioè giungono in città per lavoro, studio, cure, shopping, ecc. Si è trovata quindi a dover essere una città più usata che vissuta, più fornitrice di servizi d’eccellenza per utenti esterni che dispensatrice ed ordinatrice di migliori qualità per la residenza e la vita dei propri cittadini.
In effetti Cagliari appare da qualche anno fisicamente e geograficamente ferma. Infatti, dalla città in espansione, con nuovi quartieri, nuove strade e nuovi edificazioni si è passati ormai ad una città dove la manutenzione (degli spazi, degli edifici e dei servizi) ne è divenuta l’industria principale, mentre la congiunzione intrattenimento-commercio (negli ipermercati come nei luoghi della movida) la più frequentata occasione di socializzazione. Ancora: molti dei suoi contenitori storici (si pensi alle carceri, alle caserme, ai parchi ferroviari, alle manifatture, ecc.) sono ormai vuoti, abbandonati e svuotati cioè da quelle attività che ne avevano segnato le positive vitalità, senza che se ne sia pensato un organico e ragionato piano per un’utile riutilizzazione al di là di banali ed abituali freezerizzazioni museali.
Non è parso che queste esigenze di mutamento siano state colte, valutate e tenute presenti con la dovuta attenzione in modo da riconsiderarle per costruire l’idea della nuova Cagliari del XXI secolo. Neppure il programma elettorale della coalizione vincente (se ad esso si può dare il valore d’una agenda di lavoro e non di promesse) ha in qualche modo sfiorato questo punto di svolta che è nei fatti, che pesa già come un macigno sul presente della città. E che non può essere trascurato.
Ed è propria quest’idea della Città Nuova che, a parere di chi scrive, dovrà essere il primo campo di lavoro per ridare coraggio ed orgoglio a Cagliari. Riteniamo che sia un compito doveroso e dovuto, anche se difficile e per certi versi ingrato, in quanto potrà o dovrà fare i conti con interessi consolidati, consorterie ideologicizzate e preclusioni corporative. Comporterà anche la necessità di mettere in campo una forte infusione di valenze culturali. Perché intervenire dentro la città esistente (“costruire nel costruito della città storica” è il messaggio lanciato da Vittorio Gregotti) non è compito facile e richiede delle sensibilità culturali notevoli. Ed è una cultura che dovrà nutrirsi di nuove informazioni e di nuove conoscenze, perché la Cagliari del XXI secolo non potrà più essere quella “pensata” da urbanisti e sociologi per il secolo precedente.
Ed è proprio su questo terreno della Nuova Cagliari (cosa si pensa di fare e cosa si saprà fare) che vorremmo, da cagliaritani, poter giudicare nei prossimi mesi il lavoro a cui viene chiamata la “Giunta Zedda Due Punto Zero”: al momento non ci resta che formularle i migliori auguri, sperando che a questa nostra città venga riconsegnata la sua iniziale maiuscola.
Paolo Fadda