C laudio Orazi ha un'attitudine ad affrontare le emergenze giocando al rialzo. Come quando nel 1991, chiamato a mettere in piedi, in tutta fretta, la stagione del teatro di Macerata, la sua città, inaugurò in maniera quasi rocambolesca il suo percorso professionale. Con l'incoscienza della giovane età (non aveva 30 anni) ingaggiò Joseph Svoboda, che già conosceva, e la sua Traviata , quella “degli specchi”, che il Lirico avrebbe accolto in seguito. Violetta era Giusy Devinu, e pure questa è una bella coincidenza. Anche a Cagliari, chiamato a ricoprire la carica di sovrintendente e a mettere su in poche settimane, col sostegno del neo direttore artistico Mauro Meli, una stagione sinfonica e una lirica, ha dovuto fare (quasi) altrettanto. E anche qui, con altra cautela, è partito all'attacco. Inaugurando la lirica con La Campana sommersa . Un successo, tanto che il 31 marzo 2017 debutterà alla New York City Opera (fino al 5 aprile). L'opera di Respighi, diretta da Toscanini, nel 1928 ebbe un riscontro tale al Metropolitan che il suo autore fu chiamato diciassette volte sul palco. Per questo Michael Capasso, general manager della NYCO, si è incuriosito al progetto cagliaritano, lo ha sposato e stasera, in occasione di Traviata , sarà in platea, un raid aereo il suo, a prendere accordi per la trasferta del Lirico. «I fatti ci hanno dato ragione», commenta Orazi. «E anche questa Traviata - quindici recite estive in un luogo che non è propriamente l'Arena di Verona - è una bella sfida. Ma siamo convinti che solo se si punta in alto si prende il volo». Qualità dell'offerta, sfruttamento delle risorse, fiducia nel futuro: questi i fondamenti della sua azione. Guardare in avanti avendo alle spalle una gestione controllata, una razionalizzazione estrema, e un gioco di squadra. «Svoboda, da buon comunista, mi ha insegnato che il teatro dell'opera è un'arte collettiva: genio artistico, genio tecnico e umanità. Io aggiungo che la nostra deve essere un'incessante ricerca del futuro, non un semplice accontentarsi della normale amministrazione. Operiamo in una nazione ai vertici della cultura, abbiamo il dovere di dare il meglio, senza complessi di inferiorità. Lo dico a chiare lettere: il mio obiettivo è posizionare questo teatro tra i primi quattro-cinque in Italia». Archiviata la stagione 2016, «costata tra sinfonica e lirica soltanto tre milioni, nonostante un budget complessivo di sedici, parecchi di meno, comunque, dei 24 degli ultimi anni», nel futuro del Lirico c'è la ricerca di opere di grande repertorio, la cura dell'originalità, l'incontro tra cultura e turismo, il decentramento territoriale. Ne è un primo assaggio il patto con il Forte Village, che ospiterà un'opera per l'estate. Quanto agli interventi strutturali, Orazi annuncia il progetto appena chiuso con il presidente Pigliaru: 4 milioni e 700mila euro, per l'apertura del piccolo teatro del Parco della musica (in attesa da tempo), la creazione di laboratori scenici degni di un teatro di produzione, il maquillage del Lirico. A questo si abbina una collaborazione più attiva col Conservatorio e il suo Auditorium. «Tre teatri per il nostro pubblico, al quale aggiungo lo spiazzo di piazza Nazzari per i concerti all'aperto. Tre è il numero perfetto. Il sostegno statale della cultura è un fatto etico: senza cultura diventiamo barbari. Ma dobbiamo essere all'altezza di questa responsabilità. Inattaccabili». Tre sono anche i registi (Brockhaus, Krief e Vick) che hanno dato un contributo al libro di Orazi Lo sguardo riflesso , in uscita con Comunicarte di Trieste. Forte di un contributo di Enrico Girardi, ha per sottotitolo “Nuovi segni per un teatro d'opera all'aperto”.
Maria Paola Masala