DOMENICA, 19 APRILE 2009
Pagina 4 - Sardegna
Il ministro contesta le Regioni a Statuto speciale: «Non servono più, meglio se sono tutte uguali»
Anche il Pdl reagisce con fermezza: «Non sono né sprechi né privilegi»
IL CASO Nuovo scontro sulla «specialità»
CAGLIARI. Per Renato Brunetta è ora di dire basta ai «privilegi» delle Regioni a statuto speciale. Arrabbiato per una polemica sollevata dal sindacato di categoria autonomista valdostano Savt-Ecole che ha criticato «il taglio degli organici in applicazione alla legge Gelmini e alla legge Brunetta», il ministro ha colto l’occasione per ribadire che «tutte le Regioni italiane saranno speciali, non ci saranno più privilegi».
«Le attuali Regioni a Statuto speciale - ha affermato Brunetta - sono istituzioni della Repubblica che per 50-60 anni hanno, chi bene, chi meno bene, goduto di un vantaggio finanziario. Molti l’hanno usato bene, altri meno bene. Con il federalismo e il federalismo fiscale che stiamo realizzando, avremo tutte regioni a statuto speciale. Si giocherà non più sui trasferimenti maggiori, ma sull’efficienza, la qualità, la trasparenza, la produttività. E saremo tutti un po’ più equi. Che nessuno strilli alla lesa autonomia».
Parole che hanno scatenato le reazioni degli esponenti politici di tutte le Regioni speciali: «Non siamo dei privilegiati».
In Sardegna si è detto in disaccordo con il ministro anche il neo coordinatore del Pdl, Mariano Delogu. «Non ci sono solo le particolari ragioni storiche, culturali e le tradizioni specifiche che ci portano a dire che per noi lo Statuto speciale è indispensabile - ha commentato il senatore Delogu - ma che soprattutto una ragione specifica che impone allo Stato di prevedere norme specifiche di compensazione, ed è l’insularità». Secondo Delogu «è questa realtà che non può essere ignorata né sottovalutata a giustificare di per sé un trattamento differenziato e un’autonomia rafforzata». Insomma, «la situazione sarda è oggettivamente diversa e non può essere liquidata sbrigativamente».
In dissenso con Renato Brunetta anche il costituzionalista Andrea Pubusa, esponente di spicco della sinistra sarda. «La posizione del ministro - ha detto Pubusa - in realtà esiste in continente non solo nell’area della destra, ma anche negli ambienti giuridici democratici, con i quali ho spesso polemizzato. Dicono in sostanza che le ragioni della specialità sono venute meno, quindi tutti vanno trattati allo stesso modo perché la specialità si configura come una posizione corporativa. Ma non considerano, per quanto riguarda almeno la Sardegna e in parte la Sicilia, che la ragione della specialità non è superabile e che resta, per tutte le implicazioni che questo comporta, anche la necessità di difendere il patrimonio culturale e identitario, che esiste dappertutto ma che altrove non è paragonabile a quello delle Regioni speciali». Secondo Pubusa il discorso di Brunetta potrebbe reggersi, ma solo in parte, per le Regioni speciali del Nord, quelle di frontiera: Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige e Friuli. «Tutte e tre hanno ragioni di cultura e di lingua, ma quando sono nate il punto di riferimento era Roma, mentre oggi è l’Europa, per cui la loro difficoltà iniziale si è poi trasformata in vantaggio». In ogni caso («al di là dei luoghi comuni di Brunetta») Pubusa ha concluso che comunque «andrebbe rifatto il punto complessivo per stabilire oggi che cosa è oggi la specialità e a che cosa devono servire gli Statuti speciali».
Lungi dall’immaginare la fine della specialità, la presidente del Consiglio regionale, Claudia Lombardo, numero 2 del Pdl in Sardegna, ha auspicato proprio ieri «la riscrittura dello Statuto speciale». Lo ha detto al convegno del Consiglio delle Autonomie locali. Secondo la Lombardo, lo Statuto deve garantire anche il superamento del centralismo regionale per arrivare a un autentico autogovero complessivo tra i livelli di autonomia. (f.per.)