CONFRONTO. Tre interventi e altrettanti punti di vista sulla festa del 28 aprile
Nicolò Migheli*
I l 28 aprile e la Sarda Rivoluzione vanno oscurati. La Giunta l'anno scorso dedicò la Festa dei Sardi alla sovranità alimentare e al cibo, quest'anno ai migranti. Temi di indubbio rispetto. Come non essere d'accordo? Non si trova altra data che non sia Sa Die de sa Sardigna? L'insistenza sugli spostamenti di significato del 28 aprile sanno di strategia precisa: far dimenticare ai sardi il senso di quella giornata, rimuoverla e spingerla nell'inconscio. La Sarda Rivoluzione non ha mai goduto di "buona stampa", la si racconta come rivolta del notabilato locale per avere qualche impiego in più a Corte. Meglio che non se ne parli. Ricordare classi dirigenti in linea con la migliore Europa del Settecento disturba. Avvenimenti che stridono con la nostra attuale dipendenza culturale prima che economica. Memorie che ci interrogano su: quale è la nostra Patria? Siamo nazione viva oppure abortita? Temi contraddicenti una Europa che si rinazionalizza, che riscopre gli Stati ottocenteschi. Sa Die de sa Sardigna nega i disegni neocentralisti in atto. Occorre spegnere ogni diversità e originalità, non solo aspirazioni di autodeterminazione, ma anche di autonomia dai desiderati romani. Italiani di Sardegna va bene. Da rimpiangere i democristiani sardi di un tempo che rivendicavano la specialità per contrattare con Roma. Oggi è la rimozione: nella lingua sarda, considerata inutile per la modernità; nella Festa dei Sardi per identici motivi. Rimozione nelle tradizioni sarde ridotte a folklore, buone per il marketing, utili ai disegni egemonici di chi ci vuole eunuchi. La psicanalisi insegna che la rimozione tende a rendere inconsci le idee e i ricordi che sarebbero fonte di angoscia o di senso di colpa; un meccanismo di difesa contro il loro emergere. L'operazione però è fonte di disagio continuo. Dalla negazione alla vergogna di sé. I sardi si negano procurandosi infelicità. Cani nella chiesa della contemporaneità. Cancellare la propria appartenenza come realizzazione. Una cessione dell'essere privandosi della propria autostima. Tutto questo ha del paradossale per una Giunta che vorrebbe agire per lo sviluppo. Quale sviluppo se si alimenta la sfiducia in se stessi? Quale competizione se si eliminano le precondizioni per costruire capitale sociale condiviso? La rimozione porta con sé il riemergere dei bisogni sotto forma di pulsioni inaccettabili. Oscurare Sa Die contribuirà a regalare migliaia di sardi al neofascismo risorgente. Se italiani dovranno essere, alcuni lo saranno anche nella patologia. Per fortuna però c'è chi va controcorrente. In molte scuole e luoghi si è ricordato la Sarda Rivoluzione. Per il resto siamo in balia di esaltazioni e depressioni schizofreniche. Ci servirebbero sedute di psicoanalisi di massa.
*sociologo