L'INTERVISTA. Franca Dall'Olio: una vita tra cultura, handicap, politica e scuola
Da ragazza si ribellò al padre che la voleva maschio
Maria Francesca Chiappe
Capelli corti e pantaloni. «Un maschio, voleva un maschio». Aveva quasi vinto la sua strana battaglia quel padre di tre bimbe se la secondogenita era addirittura costretta a smarcare i complimenti in strada - che bel bambino - con un tesissimo - sono una femmina .
Arrivavano da Mantova i genitori di Franca Dall'Olio, figli di un carabiniere e di un'insegnante. «Mia nonna si chiamava Oliva, se ci penso mi viene da sorridere». La madre era bella, alta un metro e 75: «Ho preso da lei, sì, ma mia sorella maggiore di più». Ed era pure la preferita del padre: «Stravedeva per lei», senza creare gelosie, però: «Eravamo legate, legatissime, ci volevamo bene». Franca aveva una passione per i libri che il padre, manco a dirlo, non apprezzava neanche un po'. «Non gli andava bene nulla, voleva che facessi sport, mi diceva sei sempre in poltrona con quei maledetti libri, a cosa ti serve la cultura?» Ed è maturata l'idea del grande dispetto. Era il 1963, aveva 17 anni, studiava al Dettori e si era iscritta al concorso di Miss Italia. L'avevano accompagnata una zia e il cugino. «Dovevano essere i miei angeli custodi invece dormivano sempre». Ma non si era data alla pazza gioia. «No, mia madre ci aveva insegnato il senso di responsabilità». Magra, mora, occhi grigi, labbra carnose, gambe lunghe: aveva vinto. «Non mi ero emozionata per niente, ero solo stanca dopo tre giorni di strapazzi mattina e sera. E poi, in verità, l'ambiente non mi piaceva». Aveva pure litigato coi giornalisti. «Dicevano che eravamo oche e allora li avevo sfidati, mi chiesero l'aoristo di un verbo senza sapere che il greco fosse la mia materia». È sicura di essere stata eletta Miss Italia non per la bellezza ma perché aveva «un carattere troppo brutto per passare inosservato, c'erano ragazze più belle».
Conquistata la corona è subito tornata al suo mondo, agli studi classici. Altro che cinema e dolce vita. «Anche perché ero balbuziente». Un handicap. «Niente di fisico: pura ansia». Il padre l'aveva mandata in un centro per disturbi fonici ed era guarita «ma un giorno mi aveva mollato un ceffone, di quelli che fanno ruotare la testa di 360 gradi, e avevo ripreso. Hai sprecato i tuoi soldi :gli disse così, a muso duro. «Sì, ero antipatica». Semmai l'antipatico era lui. «Beh, io rispondevo sempre, ero una figlia anomala». Sarà. Comunque: la balbuzie l'ha frenata ma non fermata. «Ho rinunciato a fare l'assistente universitaria» dopo la laurea in Lettere a pieni voti. Ha detto no anche all'insegnamento alle Superiori nonostante l'abilitazione: «Non potevo sopportare sguardi e sberleffi dei ragazzi». Un prof che le voleva bene le disse: Pensavo fossi più intelligente. «Aveva ragione». Con gli alunni delle Medie, invece, ce l'ha fatta. «È stata una lotta con me stessa e l'ho vinta». Come la volta, aveva 19 anni, in cui un incidente le ha sfregiato il volto: «Ero un mostro ma mi sono guardata e mi sono detta: Che mi importa? Io mi voglio bene ». Non è rimasta traccia di quelle cicatrici: il viso largo, a 70 anni, è ancora bellissimo.
«Nonostante le batoste». Era incinta della seconda figlia quando un'embolia costrinse il marito, 35 anni, sulla sedia a rotelle. «Esperienza terribile ma, quando ho visto che stava entrando in un periodo buio, l'ho preso e l'ho portato in Cina». Era passato un anno dall'incidente. «L'ho spinto sul carretto nella Città imperiale». E hanno vissuto una vita normale. «È nata anche la terza figlia»: il sorriso dolce stride con la roccia emotiva che si intuisce. Non pensava alla politica quando un amico, nel 1994, le propose la candidatura alle Comunali. «Sono rimasta otto anni. Da presidente della commissione Cultura ho gestito i soldi del Giubileo». Lazzaretto, Piccolo auditorium, Anfiteatro, museo del Duomo. «Rimasero 200 milioni: pensando a mio marito feci gli scivoli nel centro storico».
Andò via sbattendo la porta: «Chiesi conto di una scortesia e mi fu risposto: Lui è un uomo. Non mi videro più». In pensione dalla scuola, si dedica alla farmacia di famiglia e insegna latino ai nipoti. Cagliari? Non vede di buon occhio «le piste ciclabili in via Dante e al Poetto ci sono pochi parcheggi». Ma la città «sì, mi piace. Però, eh, abbiamo iniziato noi a farla bella».