Rassegna Stampa

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Sant'Efisio, la vera storia dei costumi variopinti della sfilata

Fonte: web Castedduonline.it
2 maggio 2016

 

Autore: Sergio Atzeni il 01/05/2016 15:11



Costumi variopinti nella processione di  Sant’Efisio

In occasione della sfilata di oggi raccontiamo la storia dell’abbigliamento che suscita sempre  curiosità è ha  rappresentato nel tempo  le popolazioni sarde. 

La sfilata del primo maggio in onore di Sant’Efisio, oltre che del santo, è la festa dei costumi e dei colori che nonostante la solennità del rito infondono quel giorno un’aria di  gioia e felicità.

La sfilata è aperta dai tanti costumi spesso con colori sgargianti che colpiscono per la loro ricchezza e per l’eleganza con cui sono portati dalle persone che sfilano.

Quegli abiti d’altri tempi contraddistinguono  i vari paesi sardi e sono un’eredità spagnola riveduta e adattata alle esigenze e al senso cromatico tradizionale della nostra isola.

I tessuti conservano ancora quei colori che una volta venivano tinti in modo originale  usando erbe naturali ed applicando speciali miscele che ogni comunità creava e che teneva gelosamente segrete tramandandole di generazione in generazione.

Costumi variopinti quindi che a partire dalla prima edizione della processione di ringraziamento del 1657, anno dopo anno, sono stati al centro della manifestazione di devozione e hanno rappresentato le popolazioni sarde che fanno individuare il paese d’origine proprio  grazie a quell’abbigliamento particolare.

Quelli che oggi noi chiamiamo costumi infatti non erano altro che gli abiti usuali che si utilizzavano anticamente, magari il vestito da indossarsi per le grandi occasioni, ma pur sempre un abito di uso comune. 

Poi quel vestito è rimasto a indicare le varie comunità dei tanti paesi sardi che appunto si distinguono dal loro costume variopinto, almeno quello delle donne, mentre il maschile, con poche eccezioni, conserva perlopiù il bianco e il nero, colori freddi e austeri  che esprimono essenzialità e semplicità ma anche fierezza quasi a rappresentare il carattere degli uomini sardi.

I costumi che sfilano quindi conferiscono alla processione quel tocco di letizia che è del resto consono al ringraziamento al santo per la cessazione della peste e alla conseguente gioia per lo scampato pericolo.

Caratteristica delle sfilanti in rappresentanza dei paesi isolani è anche lo sfoggio di preziosi gioielli come collane, orecchini, anelli e bracciali che provengono in maggior parte  da eredità familiari e che contribuiscono ad  abbellire il costume tradizionale che le donne sarde ancora oggi  portano con disinvoltura ed eleganza.

Preziosi anche i fazzoletti e gli scialli portati sulle spalle delle sfilanti e riccamente ricamati e che spesso sono il risultato di un lavoro di anni.

La processione del primo maggio è quindi un festival di costumi e colori  aperta dalle donne e dagli uomini che sfilano a piedi o a cavallo ma anche a bordo di quelle che erano un tempo i mezzi di trasporto diffusi cioè le “traccas” trainate da  buoi e addobbate con fiori di ogni tipo.

Atteso in modo particolare dagli spettatori e il  passaggio dei miliziani a cavallo in rappresentanza dei quartieri di  Stampace, Marina e Villanova, corpo ausiliare del Regno di Sardegna con compiti di polizia, la cui uniforme è inconfondibile per  il cappello a cilindro rosso come la giubba rifinita da bottoni dorati e con  dei riporti ricamati neri, nera anche la gonnellina che copre i pantaloni sbuffati d’un bianco candido. 

A questo punto la sfilata si fa più solenne perché riguarda prettamente il lato religioso e così anche i colori dei costumi diventano seri e sobri come quello del terzo guardiano, che ha la responsabilità di organizzare la manifestazione, e reca lo stendardo dell’arciconfraternita del Gonfalone.

Austero e impeccabile il costume  della Guardianìa, corpo scelto dalla Confraternita,  che si compone da cilindro, frac nero e fascia azzurra sul fianchi, così  come il  costume dell’Alternos che sfila tra due mazzieri con giacca rossa e pantaloni blu,   che in origine rappresentava il viceré, anch’esso in frac e cilindro nero e  con al collo il Toson d’oro

l’onorificenza conferita al comune di Cagliari dal re di Spagna nel 1679 e la fascia tricolore per indicare il sindaco.

Il tono si fa ancor più serio ed entra nel vivo della rappresentazione religiosa  e i colori si fanno sempre più monocromatici  quando sfila la Confraternita con circa 150 persone  in abito penitenziale, nero quello delle consorelle con cordone, guanti e camicetta bianchi, mozzetta bianca e saio azzurro sul quale si nota un grande rosario bianco quello dei confratelli.

Arriva poi chi oggi ha il compito di protezione, i carabinieri, che con i colori della loro uniforme d’epoca sembrano adeguarsi al momento solenne che precede il passaggio del santo martire.

La loro divisa nero-blu  con risvolti rossi e cappello tricorno nero con  pennacchio rosso-blu anticipa il fulcro della manifestazione con la sfilata del cocchio trainato da buoi che ridanno un tono di colore alla sfilata che ridiventa policromatica  con il carro  addobbato con bandiere variopinte e tanti fiori che fanno da cornice ai tanti ex voto che durante la sfilata tanti sofferenti hanno inserito nel cocchio per richiedere al santo più amato dai sardi una grazia.