Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

«Stadi ai privati, fondi e meno vincoli»

Fonte: L'Unione Sarda
14 aprile 2009

Fiscalità di vantaggio e altre agevolazioni per una gestione virtuosa degli impianti
Il sottosegretario Crimi: «Tempi brevi per la nuova legge»

In Italia oltre il 60 per cento degli stadi non è a norma e le strutture rappresentano solo un costo per i Comuni.
«Il Cagliari pensa ancora di diventare proprietario del suo stadio? Molto presto dal Parlamento uscirà una legge che consentirà anche alla società sarda, che tanto bene sta facendo in questo torneo, di gestire finalmente il suo impianto in maniera produttiva». Così parlò Rocco Crimi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega allo Sport. Un esponente di governo che, nel corso delle ultime settimane, ha più volte ribadito la volontà dell'esecutivo (e di praticamente tutte le forze politiche rappresentate nelle due Camere legislative) di favorire il passaggio degli stadi dalla proprietà pubblica a quella privata.
Da anni si parla del progetto, cosa le fa pensare che si vada verso un'accelerazione?
«Nei giorni scorsi ho partecipato ai lavori della commissione Cultura del Senato, nella quale giacevano tre diversi disegni di legge in materia. Con una grande presa di coscienza da parte di tutte le forze politiche si è arrivati alla conclusione di unificare le proposte in un unico testo. Da qui la convinzione, visto che si registra un'ampia convergenza, che i tempi non saranno certo esagerati».
E come si prevede di incentivare il passaggio dell'impiantistica sportiva di prima fascia dal patrimonio pubblico a quello privato?
«Anzitutto partendo dalle esperienze, come quelle della Juventus nel nostro paese, che sono già state sperimentate. Si pensa si sveltire i passaggi burocratici, di rendere meno farraginosi i contatti tra le società e i Comuni. E bisogna riflettere anche su una fiscalità di vantaggio per le società calcistiche, sul modello di quella con cui si devono confrontare i club spagnoli e inglesi. Che, guarda caso, sono quelli che vanno per la maggiore sullo scenario delle competizioni Uefa».
Fiscalità di vantaggio a favore di società private, spesso in mano a miliardari?
«Credo sia un modo sbagliato di affrontare il problema. Se le nostre squadre non diventano proprietarie degli stadi rischiano di non riuscire più a competere. Tra i primi venti club in Europa i nostri top four (Juventus, Milan, Inter e Roma) per fatturato si piazzano nelle posizioni tra l'ottava e l'undicesima. Il Real Madrid arriva a contabilizzare 356 milioni, circa 200 in più della Juventus. Per quel che riguarda i club italiani, il 60 per cento dei proventi arriva dai diritti televisivi. All'estero questa voce non incide più del 15 per cento».
La proprietà degli stadi come può incidere?
«Lo si capisce continuando a confrontare i dati tra le maggiori società europee e le big italiane: il Real incassa dalla biglietteria 101 milioni in un anno, contro i 12 della Juventus. Questo perché ha uno stadio più funzionale e aperto sette giorni su sette. Non c'è partita nemmeno sul merchandising: da maglie, gadget, bandiere e altro a Madrid tirano su 129 milioni di euro, a Torino appena 48. E potrei proseguire di questo passo. Quando c'è uno stadio a norma, con tutti i comfort, pensato a misura di tifoso, tutto questo diventa più facile».
Con la gestione pubblica non è possibile?
«Fin qui non lo è stato. Perché spesso i Comuni sono in difficoltà persino a tirare fuori i soldi necessari per le manutenzioni, che in alcuni casi rappresentano una spesa di un paio di milioni di euro l'anno. Noi invece pensiamo di favorire la ristrutturazione o la costruzione di impianti di nuova concezione, capaci anche di ospitare altre attività. Stadi che lavorino tutta la settimana, sette giorni su sette. Con un occhio di riguardo alla multifunzionalità».
Avete un quadro completo dell'esistente?
«Il censimento più aggiornato è delle scorse settimane. In Italia ci sono 126 stadi pubblici utilizzati da società di calcio professionistiche, di cui oltre la metà sotto i diecimila spettatori. Quasi il 60 per cento è rappresentato da stadi brutti, non a norma, esclusivamente onerosi».
Solo dati negativi?
«Gli stadi italiani della serie A sono fra i più vecchi e meno frequentati in Europa. Le venti società del massimo campionato di calcio giocano in 16 stadi con un'età media di 67 anni. Con un tasso di riempimento medio di appena il 53%, dato dal rapporto fra il numero di spettatori medio della stagione 2007/2008 e la capienza media degli impianti, gli stadi della serie A sono praticamente i meno frequentati d'Europa».
Qual è la road map che immagina dopo il varo della legge?
«Anzitutto lo snellimento della burocrazia per l'ottenimento del diritto di superficie da parte dei privati e per il rilascio delle concessioni. A questo proposito abbiamo già concordato un'audizione in Parlamento con tutti gli enti locali interessati».
E poi?
«E poi occorrerà agire sulla leva della concessione dei finanziamenti da parte del Credito sportivo e della Cassa depositi e prestiti. Senza scordare la fiscalità di vantaggio e le altre forme di finanziamento agevolato. È una svolta epocale, bisogna approfittare del fatto che c'è un'ampia convergenza dal punto di vista politico. C'è l'opportunità di andare verso una gestione virtuosa».
ANTHONY MURONI

12/04/2009