Trivelle, referendum senza quorum. Ma ha stravinto il Sì con l’85,98%
Il 32,15 per cento di partecipazione – con la sola Basilicata che ha raggiunto il quorum (50,27 per cento in pieno scandalo giudiziario per Tempa Rossa) – non è bastato a rendere valido il referendum sulle trivelle. Ma a stravincere è stato il Sì, con l’85,98 per cento (dato ancora provvisorio). La Sardegna si è piazzata sopra la media nazionale sia in fatto di affluenza che sull’esito del voto: nell’Isola la partecipazione ha fatto registrare il 32,38 per cento (decimo posto su venti regioni), mentre il Sì ha raggiunto il 92,40 per cento che al momento è il quinto miglior risultato in Italia (mancano da scrutinare due sezioni in Calabria e 311 nel collegio estero).
È questo il quadro completo sul voto del 17 aprile che, sotto il profilo normativo, non sposta nulla: le concessioni estrattive a mare nella fascia delle 12 miglia continuano ad avere scadenza illimitata, così come stabilito dal governo di Matteo Renzi attraverso la Legge di stabilità approvata a dicembre (comma 239 dell’articolo 1).
Le concessioni off-shore che si avvantaggiano della modifica normativa introdotta quattro mesi fa, non abrogata e considerata un regalo ai petrolieri dal comitato del Sì e dagli ambientalisti, riguardano 35 impianti, di cui 26 produttivi. Corrispondono a 79 piattaforme che contano in totale 463 pozzi localizzati soprattutto nell’Adriatico al largo di Emilia Romagna, Marche e Abruzzo. Due sole società operano davanti ai porti di Gela e Crotone, in Sicilia. Le attività estrattive riguardano quasi esclusivamente il gas, visto che le piattaforme di petrolio sono appena quattro.
Rispetto alle quattro regioni dove ricadono i pozzi oggetto del referendum (e sono tutte a guida Pd), solo dalle Marche di Gian Mario Spacca è arrivata la richiesta di consultazione popolare, a differenza dell’Emilia Romagna governata dal renziano Stefano Bonaccini e della Sicilia di Rosario Crocetta. L’Abruzzo, dove il presidente è Luciano D’Alfonso, si è invece defilato dal gruppo dei promotori capeggiato dalla Basilicata di Marcello Pittella, anche lui dem, e di cui fanno parte pure Puglia, Veneto, Campania, Molise, Calabria e Sardegna.
La localizzazione degli impianti estrattivi – e qui comincia l’analisi del voto – non sembra essere una cartina di tornasole sulla partecipazione. La Sicilia è addirittura una delle regioni con la più bassa affluenza, pari al 28,40, ciò che vale il quartultimo posto. Hanno fatto peggio solo in Trentino Alto Adige (25,16 per cento), Campania (26,14, regione promotrice) e Calabria (26,69). È andata meglio in Abruzzo (35,47 per cento), nelle Marche (34,75) ed Emilia Romagna (34,29), rispettivamente quarta, quinta e sesta, dietro Basilicata (50,19), Puglia (41,65) e Veneto (37,86).
Le altre percentuali della partecipazione sono: Valle d’Aosta al 34,02; Molise al 32,74; Piemonte al 32,73; Sardegna al 32,38; Friuli Venezia Giulia al 32,16; Lazio al 32; Liguria al 31,62; Toscana al 30,77; Lombardia al 30,46; Umbria al 28,42.
Quanto alla vittoria schiacciante del Sì, la Sardegna è dietro Basilicata (96,40 per cento), Puglia (95,09), Calabria (93,01) e Sicilia (92,54). Seguono Campania (91,45), Molise (90,76), Lazio (88,29), Abruzzo (88,27). E ancora: Veneto (85,63), Marche (85,18), Valle d’Aosta (84,04), Trentino (83,74), Toscana (83,55), Liguria (83,29). E infine: Umbria (82,77), Friuli Venezia Giulia (81,97), Piemonte (81,37), Emilia Romagna (80,30), Lombardia (79,60). La media nazionale provvisoria è dell’86,44 e scende all’85,98 per via dei voti degli italiani all’estero, dove il Sì è fermo al 72,86 per cento.
Alessandra Carta
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