Vince il sì, ma la norma sulla durata delle concessioni sine die resta
Forse gli italiani hanno trovato il quesito troppo tecnico, complicato, poco appassionante. Materia da addetti ai lavori, insomma, non da giudizio popolare. Forse molti elettori hanno voluto seguire le indicazioni di Renzi e deciso di schivare le urne. Oppure potrebbe trattarsi più banalmente di sconfortante, diffuso menefreghismo.
Il referendum abrogativo numero 17 della storia d'Italia, il giorno 17, non è passato. Non ha raggiunto il quorum, anche se i sì hanno stravinto (85,9%). Ha votato il 32,15% degli aventi diritto, in Basilicata - la terra più direttamente coinvolta - la maggiore affluenza (50,16%), in Campania la più bassa (26,13%). In Sardegna si è espresso il 32,37% (92,3% i sì), nella provincia di Cagliari il 33,11%, l'Oristanese ha il dato più alto (36,02%), ad Arborea e Baradili sono state toccate rispettivamente le vette del 57,53 e 65,67%.
Il presidente della Regione Francesco Pigliaru, tra i pochissimi a votare “no”, sottolinea: «Il risultato di oggi (ieri, ndr.) dimostra che per la maggioranza degli elettori questo è il momento della concretezza, del dare risposte ragionevoli a domande semplici, del tenersi lontano da ideologismi astratti».
A mezzogiorno (prima rilevazione del ministero dell'Interno) la percentuale del Paese era dell'8,36%, nell'Isola leggermente superiore (8,96%), alle 19 erano rispettivamente del 23,48 e del 22,94, alle 23, alla chiusura, di 32,15 e 32,37%.
Il referendum sulle trivelle è stato promosso da nove Consigli regionali (erano dieci inizialmente, poi l'Abruzzo si è defilato): Sardegna, Basilicata, Campania, Calabria, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Veneto. In principio erano stati proposti sei quesiti, poi cinque punti sono stati in qualche modo ricompresi nella legge di Stabilità e la Corte costituzionale ne ha ammesso soltanto uno, quello relativo alla durata delle concessioni già attive entro le 12 miglia marine. Questo “taglio” è stato uno dei motivi per cui molti supporter della prima ora hanno scelto l'astensione o il no.
Dice il presidente della Regione: «Un referendum dovrebbe concentrarsi sul merito delle questioni. Qui invece una parte dei sostenitori del sì ha cercato di fare altro, di convincerci che si trattava di scegliere tra chi è a favore delle trivelle e chi è contro. Sbagliato, perché anche tra chi ha votato no e chi si è astenuto, moltissimi non vogliono sentire parlare di nuove trivelle». Prosegue Pigliaru: «In questo referendum, in ciò che è rimasto del ben più importante referendum iniziale, si trattava di scegliere se tenere aperti i pochi impianti in funzione fino all'esaurimento dei giacimenti oppure no. Tutto qui. Nella transizione che tutti auspichiamo verso un futuro fatto di energia prodotta da fonti rinnovabili, il metano servirà ancora per molti anni. Lo confermano i più ambiziosi accordi internazionali sul clima. In questo quadro, portare a esaurimento i pochi impianti in funzione è perfettamente ragionevole».
Dunque, resta in piedi il comma 239 dell'articolo 1 della legge di Stabilità (che ha sostituito una norma del codice dell'ambiente). Recita: «... I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. Sono sempre assicurate le attività di manutenzione finalizzate all'adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli impianti e alla tutela dell'ambiente, nonché le operazioni finali di ripristino ambientale». In altre parole, le trivelle in mare possono continuare a estrarre petrolio e gas sine die.
Cristina Cossu