Z aha Hadid aveva visto il potenziale visitatore del museo «fluttuare nell'opera in una combinazione tra dentro e fuori». Quel visitatore non è mai arrivato. Il Betile, il futuribile museo dell'arte nuragica e dell'arte contemporanea è rimasto un sogno, un progetto. Una visione urbanistica del quartiere di Sant'Elia a Cagliari, intorno alla quale lo scontro è stato acceso, la polemica aspra. «Non ho piacere di parlarne» taglia corto Renato Soru, all'epoca presidente della Regione Sardegna e convinto sostenitore del recupero dell'area attraverso un'opera che diventasse un simbolo per l'Isola. «Quello spazio - sostenne dieci anni fa - sono al centro della nostra politica per l'area di Cagliari». Inevitabile la replica dell'allora sindaco Emilio Floris: «Auspico il confronto, ma non tollero le ingerenze. Io sono stato eletto per governare la città». Insomma, fu sui confini politici, divenuti distanze insuperabili, che si è giocata la partita.
Era il 2006. Fu un concorso internazionale di idee intorno al quale si raccolsero i nomi più famosi dell'architettura mondiale, a premiare il progetto della Hadid. «Aveva saputo interpretare, grazie alla morbidezza della forma, il rapporto con il mare che aveva di fronte. Una scultura architettonica audace di una donna volitiva e assertiva, qualità necessarie quando si fanno mestieri che lasciano segni profondi». Chi parla è Cristiana Collu, oggi direttrice della Gnam di Roma, all'epoca direttrice del Man di Nuoro e componente della giuria presieduta dall'architetto milanese Stefano Boeri.
«Era un sogno che Hadid aveva saputo interpretare con grande maestria, cogliendo con sapienza il luogo dove doveva sorgere». Giovanni Campus, architetto e docente era all'epoca l'assessore all'Urbanistica del Comune di Cagliari. E di quel sogno mai diventato realtà parla come di un'occasione non colta: «Il Betile avrebbe detto di noi, della nostra storia. Un segno riconoscibile per una città europea». (c.p.)