L'assessora assicura: «I lavori continuano»
La Soprintendenza ai beni archeologici non si sbilancia: «Abbiamo trovato un edificio. In questo momento lo stiamo documentando», spiega Giovanna Pietra, responsabile degli scavi nel corso Vittorio Emanuele dove da mesi è aperto un vasto cantiere comunale per il rifacimento dei sottoservizi e la pavimentazione. «Prima di poter dire di cosa si tratti abbiamo la necessità di esaminare e studiare tutta la documentazione raccolta. Allo stato attuale fare qualsiasi supposizioni sarebbe prematuro». L'assessora comunale ai Lavori pubblici Luisa Anna Marras fornisce qualche dettaglio in più: «Sembrerebbe trattarsi di una struttura sacra, non privata, come si era ipotizzato inizialmente, ma pubblica», spiega. «Premetto che i lavori nel Corso non subiranno alcun rallentamento».
Dopo il ritrovamento della Domus Aurea davanti alla sede dell'Ersu, l'effetto sorpresa del corso Vittorio Emanuele - blindato da settembre per consentire i lavori di riqualificazione della strada - sembra essere svanito. E non certo per colpa dei tendoni che delimitano il cantiere a cielo aperto.
C'è giusto qualche curioso di passaggio che allunga il collo e cerca di sbirciare oltre il perimetro di metallo. Senza neanche troppo successo: all'interno le ruspe sono al lavoro come sempre.
I resti dell'ipotetico santuario affiorato recentemente all'angolo con il largo Carlo Felice si confondono già tra le nuove tubature. Qualche esperto improvvisato si avventura in spiegazioni alquanto discutibili ma per avere notizie certe si dovrà aspettare ancora: «Non appena avremo concluso tutti gli studi informeremo la cittadinanza dell'effettiva importanza del ritrovamento», taglia corto la responsabile degli scavi.
E allora non resta che aspettare per sapere di che cosa si tratta.
Neppure i commercianti sembrano stupirsi più. «A Roma si metterebbero a ridere, mi sembra ovvio che scavando sarebbe saltato fuori di tutto», osserva Giorgio Pisano, titolare dell'omonima gioielleria - con vista sul cantiere - momentaneamente chiusa. «Non certo per colpa dei lavori, è stata una mia scelta personale», chiarisce. «Non appena la strada sarà di nuovo accessibile riaprirò l'attività», annuncia. «Penso che il Comune stia procedendo bene, ciò che crea rallentamenti sono i vincoli a mio avviso eccessivi della Soprintendenza ai beni archeologici»
Sul marciapiede opposto Alfonso Bifulco fissa la rete di metallo davanti alle vetrine del suo negozio di calzature: «Se dicessi che non sono stanco mentirei, la strada è chiusa ormai da sei mesi», ricorda con tono rassegnato. «Certo questi lavori erano necessari e credo serviranno a riqualificare tutta la zona ma spero terminino il prima possibile», osserva. «Ciò che mi preoccupa sono le continue scoperte nel sottosuolo, la Soprintendenza ha un iter preciso da seguire, chiaramente questo allunga i tempi facendo slittare la riapertura».
Carlo Felice osserva i pezzi della città antica che riemergono dal cemento, i pedoni si contendono i pochi centimetri di passaggio rimasti liberi. Nel frattempo Maria Antonietta Mongiu, presidentessa regionale del Fai, Fondo ambiente italiano, fa partire un dibattito. «Per prima cosa chiamiamo le cose con il loro nome, qui non esiste nessuna scoperta che non fosse già prevista», sentenzia. «Ogni volta che gli scavi fanno affiorare un pezzo del passato c'è qualcuno che grida alla sorpresa. Senza ragione, considerando le origini antiche di Cagliari», chiarisce. «Il problema del Corso, così come di tante altre aree della città, è legato al fatto che la Soprintendenza, così come il Comune, nonostante esistano tutti gli strumenti per fare una diagnosi non invasiva delle varie aree sottoposte a lavori, continuano a non applicare quanto previsto dai protocolli del ministero dei Beni culturali. L'archeologia preventiva è una realtà in tutto il mondo, a Cagliari si sta applicando?», domanda.
«Non certo nel Corso. È un po' come si si decidesse di operare qualcuno senza prima sottoporlo alla Tac», spiega. «L'archeologia preventiva è una forma diagnostica».
«Siamo consapevoli del rischio legato a un intervento in un'area come quella del Corso. La possibilità di trovare rinvenimenti era nota», replica l'assessora Marras. «Per poter fare archeologia preventiva occorrono risorse e predisporre piani appositi, avere un archeologo fisso nel cantiere del Corso rientra nella prassi dell'archeologia preventiva. In ogni caso è un cavallo di battaglia della Soprintendenza, non una competenza del Comune».
Sara Marci