In Sardegna capita che la quotidianità conviva con la matericità dei monumenti che, nei millenni, la morte ha disseminato per sopperire alla caducità di ogni presente. Talvolta imponenti, punteggiano il paesaggio con soluzioni che la consuetudine e la pigrizia mentale impediscono di assumere a metafora del limite e della mutevolezza della sorte e come autocoscienza di un popolo.
Si pensi alle necropoli rupestri del Neolitico, spesso diventate eremi e chiese medievali, o a quella soluzione che fu la necropoli che, dal I sec. d.C. in viale Sant'Avendrace, fu disposta ai lati della via a Karalibus perchè fosse visibile.
Lo fu fino a qualche decennio fa con sepolcri di personaggi che l'autorappresentazione funeraria emancipa dalla banalità dell'esistenza. Come in una Spoon River ante litteram si rivolgevano ai passanti per oltrepassare l'oblio con pitture, stucchi, testi memorabili come quelli di Cassio Filippo ad Atilia Pomptilla, Alcesti cagliaritana. Si ignora dove e come fosse la loro casa. Si conoscerà per sempre il loro sepolcro.
Cosa cambia sapere dove visse Domenico Lovisato, scienziato e garibaldino? Il centenario della morte si commemora nel cimitero di Bonaria. Si sa dove visse Violante Carroz (1456-1511) ma intriga di più il luogo della sua sepoltura. Un sarcofago fuori della chiesa di San Francesco di Stampace che godette di un suo lascito fino alla sua distruzione. Peregrinò fino a Decimomannu per diventare un abbeveratoio che parlò a un giovane Giovanni Lilliu. Chiede di tornare al suo primo domicilio insieme al Pergamo di Calo V e ai Retabli perché per dirla con Salvatore Satta del Giorno del giudizio «la sola condizione di una buona morte è l'oblio». Ma non la distruzione.
Maria Antonietta Mongiu