I contributi comunali non bastano e lo sfratto della Gioc da Santa Restituta ha fatto il resto
La ricerca è sotto i portici di via Roma, con partenza dalla Rinascente e tappa finale al Consiglio regionale. Il verdetto, desolante: pur mettendosi d'impegno e aguzzando la vista, trovare un solo coriandolo per terra è impossibile. E non è certo merito delle nuove aspiratrici comprate dal Comune: il Martedì grasso senza sfilata - e coriandoli - lascia un retrogusto amaro. Il Carnevale cagliaritano è morto, su questo sono tutti d'accordo: cittadini, Comune e pure le associazioni storiche che un tempo organizzavano le sfilate e il rogo di Cancioffali. Ma di chi sia la responsabilità, è difficile capirlo.
GLI SCONTENTI «Non spetta a me fare i conti in tasca al sindaco. Certo è che ha deciso di non investire nel Carnevale e di utilizzare le risorse per altre partite», osserva Ugo Maddaloni, presidente del Dopolavoro ferroviario, che aggiunge: «Da due anni ci siamo tirati fuori dai programmi, e non per mancanza di interesse. Il problema principale è che le risorse erano insufficienti per organizzare una manifestazione dignitosa», spiega. «La nostra ultima partecipazione è stata nel 2014, con un preventivo di spesa di circa 34 mila euro da dividere tra quattro associazioni. Con queste cifre, non si può pretendere una festa come quelle di un tempo e non possiamo sostenere tutte le spese da soli». Il presidente del Villaggio pescatori, Carlo Floris, ha una visione più romantica: «Privare i cagliaritani della ratantira è stato un delitto», dice con tono a metà tra l'indignato e il rassegnato. «Non so di chi sia la colpa, certo è che negli ultimi quattro anni il Comune non ci ha invitati», racconta. «Io ho 77 anni e me ne faccio una ragione, ma i ragazzi non si rassegnano. Il Carnevale non può e non deve essere dimenticato».
LA GIOC Messa da parte la questione economica, c'è chi punta l'indice contro la Chiesa. «Il Carnevale è morto quando siamo stati mandati via da Santa Restituta», sentenzia Vittorio D'angelo, ex presidente della Gioc. La mente torna indietro e si ferma al 2007, poco dopo la nomina di don Luciano Pani a parroco di Sant'Anna e commissario dell'Arciconfraternita del Santo Spirito, proprietaria dell'immobile dal 1944 sede della Gioc. Il sacerdote inviò una segnalazione ai carabinieri e al Nucleo tutela del patrimonio culturale della Sardegna. Poche righe, in cui denunciava lo stato di abbandono della chiesetta di Stampace. Seguirono il sequestro dell'immobile e l'ingiunzione di sfratto, oltre alla denuncia nei confronti di D'angelo per reati di tipo ambientale. A difenderlo ci pensarono gli avvocati Antonio Cabriolu e Toto Casula. Sono loro a mostrare la sentenza con l'assoluzione del loro assistito, datata luglio 2012. «Un'accusa ingiusta, forse un pretesto per mandare via la Gioc», commentano. «Certo con lo sfratto hanno ucciso lo spirito del Carnevale cittadino».
RASSEGNAZIONE Ma in fondo andare a caccia del colpevole ora non ha neanche molto senso. Non cambia la realtà - triste - di un città scippata del suo Carnevale e nemmeno riporta indietro nel tempo agli anni Settanta, Ottanta e anche al Duemila. Nonostante l'incubo delle bombolette spray, ci si ritrovava in migliaia per strada. Anziani, adulti e bambini: uniti in una processione profana e magica, scandita dal quel ritornello di cui oggi più che mai si sente la mancanza: “ Cambara cambara e maccioni ”, un grido capace di unire tutti i quartieri. Certo, il carnevale cagliaritano non è mai stato chic come quello di Venezia, anzi: piuttosto pop. Era questa, in fondo, la sua vera forza: l'anima popolare e l'essenza genuina. Bistrattato dalla politica, finito dalla Chiesa e reclamato dai cagliaritani, che al Martedì grasso senza neanche la sfilata non si rassegnano. Aspettano la resurrezione avvolti nel silenzio stonato di Stampace, dove il cuore della Gioc ha smesso di battere, e il Carnevale di vivere. Il resto sono chiacchiere da campagna elettorale.
Sara Marci