Il gip ha accolto la richiesta del pm per i tre principali protagonisti dell'inchiesta
L'accusa: consultazioni per negare di aver lucrato sugli abiti
Nonostante lo scandalo esploso il 6 gennaio col «sequestro del tir» pieno di «indumenti nuovi e usati», l'azione «illegale» di chi raccoglieva gli abiti (da regalare ai bisognosi e rimessi invece in commercio) era andata avanti. Una settimana fa la polizia giudiziaria segnalava alla Procura la «frenetica attività di consultazione e incontri» tra gli indagati «anche sul tenore delle eventuali dichiarazioni da rilasciare alla stampa». I tre principali protagonisti dell'inchiesta della Dda di Cagliari si preparavano a negare di aver lucrato sulla beneficenza.
Da ieri però Andrea Nicolotti della Caritas e la coppia Rosa Contiello e Giampiero Cesarini hanno l'obbligo di dimora e non possono varcare i confini di Capoterra (marito e moglie) e Quartu. Il giudice delle indagini preliminari Giampaolo Casula ha accolto la richiesta del pm Guido Pani, che coordina l'indagine degli uomini del Nucleo investigativo della Forestale. L'esistenza di un mercato occulto che tradiva la generosità dei sardi è emersa quando al porto di Cagliari i ranger al comando del commissario Ugo Calledda hanno messo i sigilli al camion che custodiva 10 tonnellate di merce (stima degli investigatori), compresa quella nuova regalata dalla ditta “Loddo Maddalena abbigliamento” di Fonni (per ottenere la quale si era «attivato Nicolotti», autore di una «condotta infedele»): migliaia tra maglioni, magliette, pantaloni, calze e calzettoni. Donazioni legate alla presenza del logo della Caritas diocesana di Cagliari, concesso alla coppia dal direttore don Marco Lai. Pur di raggiungere lo scopo infatti Contiello «si serviva in tutti i modi» dell'ente «e nominava don Marco Lai per raggiungere l'illecito scopo di lucrare» facendo credere «falsamente» che «l'attività di raccolta» avesse «finalità caritatevoli»: è quanto afferma il gip sul «pressing» di marito e moglie per ottenere dai Comuni il via libera alla raccolta e alla sistemazione dei cassonetti coi quali raccogliere il vestiario.
Ma gli abiti usati da rivendere sono “rifiuti speciali” da igienizzare e trattare, contrariamente a quelli da donare ai poveri. Un obbligo disatteso «consapevolmente» dagli indagati, che «si raccomandavano con gli operatori della Caritas perché il materiale raccolto fosse girato a essi» evitando qualunque «tipo di verifica preliminare di selezione sulle donazioni, come la scelta dei capi in buono stato». Così loro potevano incamerare la cifra sborsata dalla Eurofrip di Casoria, dove era inviata la merce. I due avevano una “rete” di conoscenze e collegamenti con funzionari pubblici, politici e uomini di fede emersa grazie alle intercettazioni telefoniche, e in un colloquio tra Cesarini e Gioacchino Villano (proprietario del tir sequestrato) era emerso il timore che i vestiti finissero ai veri destinatari: il portello non poteva essere chiuso ermeticamente e Cesarini aveva paura che ciò potesse consentire ai poveri, «proprio le persone cui dovevano andare i beni» sottolinea il giudice, di prendere gli indumenti: «Tengu nu problema, chistu nu va bbuono, no tiene i porte che si chiudono, capito? Tengu a paura, tengu a roba intro, ma i poveri più che altro». Lo scopo era il profitto.
La raccolta doveva cominciare entro settembre, l'inizio delle scuole: «Dobbiamo partire come le iene», diceva la coppia, e «anche nei Comuni in cui non riusciamo a fare breccia ci facciamo le giornate nelle chiese e nelle scuole e raccogliamo direttamente lì. Arrivederci e grazie capito?» Ed ecco le richieste ai Comuni. A Maracalagonis il funzionario «Garau» spiegava a Contiello di aver «preparato una gara» per la raccolta «uguale a quella dell'Unione del Parteolla», e lei sottolineava col marito: «Gliela avevo data io l'indicazione». Ma un «amministratore comunale» aveva bloccato tutto. A Settimo la donna si era presentata «come Caritas» davanti «all'ingegner Monni», però il funzionario aveva tergiversato. Quando Quartu invece aveva dato l'ok, la reazione era stata entusiasta: «Firmataaaa! E vai!!!». La determina era stata firmata dal dirigente Carlo Capuzzi e il gip ha sottolineato «efficaci pressioni anche tramite il dipendente comunale Amedeo Catalano». Il colpo grosso sarebbe stato Cagliari, «il Comune più importante, se lo perdo è inutile», diceva Contiello al padre. Cesarini si era presentato come «procuratore della Caritas», Contiello raccontava la sua amicizia con «le suore mercedarie di Sant'Elia, da coinvolgere per la raccolta». Erano rimasti due ore e mezzo in Municipio «per avere direttamente l'affidamento del servizio» nonostante «l'opposizione di Claudia Zuncheddu». Niente, anche se la donna sosteneva di essere «un po' in combutta con l'assessore, mi vuole bene e mi rispetta». Ora le carte sono nelle mani degli avvocati Luigi Concas, Mario Fortunato e Marco Scano.
Andrea Manunza