Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

«Abiti usati: vi spiego»

Fonte: L'Unione Sarda
18 gennaio 2016

L'INCHIESTA

. Incassati 3.050 euro: il costo di una giornata di mensa

 

Don Marco Lai: l'utilizzo del logo? Già revocato

Don Marco Lai, direttore della Caritas di Cagliari, sospira, parte dai princìpi (cultura del riuso, lotta allo spreco, ecologia) cui si ispira fin da quando, primi anni '80, era viceparroco ad Assemini e coi giovani fedeli raccoglieva vetro e ferro; fatica un po' ma alla fine trova le parole per spiegare: «Ci sono due percorsi ben distinti. Un conto sono gli indumenti che le persone portano spontaneamente nelle parrocchie o nel centro di via Po: quelli vengono gestiti direttamente dalla Caritas, e nemmeno uno è andato perduto o sprecato, tutti quelli utilizzabili sono andati a persone che ne avevano bisogno, così come è successo per gli abiti donati quest'estate ai migranti ospitati alla Fiera. Nessuno ha tratto profitti personali o illeciti».
E l'altro percorso?
«È quello dei raccoglitori di abiti usati: di questo altro circuito si occupano Giampiero Cesarini e Rosa Contiello, che fanno i procacciatori ma non fanno parte della Caritas. Si tratta di un rapporto diretto tra i procacciatori e i Comuni».
Però su quei raccoglitori, collocati in vari Comuni, c'è il logo della Caritas. Perché ne avete concesso l'uso?
«Il logo della Caritas sui raccoglitori degli abiti usati c'era anche negli anni Novanta, quando se ne occupava la cooperativa Sa Striggiula. Qualche anno fa eravamo stati contattati da un consorzio nazionale che si occupa del riciclo degli abiti usati. Ho tentato di far nascere una cooperativa ma quest'idea non è andata in porto, così quando l'anno scorso Cesarini e Contiello, che già si occupavano della raccolta degli oli esausti per la nostra mensa, ci hanno proposto di occuparsi del ritiro delle eccedenze di vestiario, in buona fede abbiamo accettato».
Cosa sono le eccedenze di vestiario?
«Non tutto ciò che viene donato è utilizzabile. Lo dico col massimo rispetto: la gente ha legami affettivi con indumenti che, qualche volta, sono in realtà non più utilizzabili, o vengono rifiutati dai bisognosi. Le eccedenze non sono “abiti in più” ma indumenti non più utilizzabili».
Cosa ne fate? Li vendete?
«Li smaltiamo. Ora, la legge con un occhio li considera rifiuti e con l'altro capi di vestiario. Noi, per rimanere fedeli al mandato del donatore, non vogliamo che vadano sprecati: facciamo in modo che vengano riutilizzati, fosse anche come stracci. D'altro canto non posso mica andare da clandestino a buttarli di nascosto nei cassonetti, quegli indumenti».
Insomma, pur sempre una vendita. E col ricavato vi finanziate?
«Non li vendiamo. Ce li ritirano per il macero e ci viene lasciata una offerta con la quale acquistiamo beni di prima necessità per i poveri: omogeneizzati, medicine, pannolini e quant'altro di cui i poveri possano avere bisogno e non abbiamo a disposizione. In via Po distribuiamo cibo, farmaci, scarpe, indumenti a 1.600 famiglie: circa 6.000 persone».
Quindi Cesarini e Contiello, ora indagati per traffico organizzato di rifiuti e truffa, si occupavano anche del ritiro di questi abiti dai depositi Caritas?
«Sì. Io non ho nulla da scaricare su di loro: non li giudico finché non saranno giudicati dalla magistratura. La logica della Caritas è di fidarsi di chi propone una collaborazione. Fra i nostri volontari, in questo momento, ci sono 70 persone sottoposte a misure alternative alla detenzione o per scontare e compensare con un servizio la pena».
Quando avete stipulato il contratto che li autorizzava a usare il logo Caritas sui contenitori?
«Eccola qua, la scrittura privata: prevede l'uso del logo con finalità determinate e dentro regole precise. Stipulata il 27 aprile 2015».
L'uso del logo era temporaneo?
«Certo. Un anno di tempo. Ma il giorno dopo il sequestro del rimorchio, per raccomandata e e-mail certificata, abbiamo rescisso quel contratto».
Voi cosa ci guadagnavate?
«Abbiamo ricevuto in donazione complessivamente 3.050 euro. Più o meno quanto spendiamo in un giorno per far funzionare la nostra mensa che, ricordo, non usufruisce di contributi istituzionali».
Quante tonnellate di vostre eccedenze hanno smaltito Cesarini e Contiello?
«A quanto ho letto, quello sequestrato era il secondo container che spedivano».
Marco Noce