L'inchiesta sui vestiti usati: spunta la convenzione per cedere l'uso del logo
Dopo gli uffici comunali, l'inchiesta della Dda di Cagliari sullo scandalo degli indumenti usati da destinare ai bisognosi e invece rimessi in vendita tocca il mondo della Chiesa. La Forestale ieri ha bussato alle porte del seminario arcivescovile nel capoluogo e sequestrato documenti ritenuti importanti. È spuntata la delega con la quale don Marco Lai, direttore della Caritas diocesana, autorizzava Giampiero Cesarini, 39enne originario di Napoli ma residente a Capoterra, a raccogliere per conto dell'ente caritatevole gli abiti da donare: una sorta di convenzione che sarebbe stata pagata ma, secondo gli inquirenti, sfruttata per scopi diversi, perché i beni raccolti anziché entrare nella disponibilità della Caritas erano finiti nuovamente sul mercato.
Una presunta truffa ai danni di chi faceva beneficenza: questo uno dei reati ipotizzati dal pubblico ministero Guido Pani, che coordina il lavoro degli uomini del Nucleo investigativo regionale della Forestale al comando del commissario Ugo Calledda. L'altro è il traffico organizzato di rifiuti: cioè gli abiti che, non essendo regalati ma nuovamente messi in vendita, diventano a tutti gli effetti “spazzatura” da trattare e igienizzare adeguatamente. Sul registro degli indagati sono finte quattro persone: oltre Cesarini, ci sono la moglie Rosa Contiello (42 anni: lei e il marito sono tutelati dal legale Luigi Concas), Andrea Nicolotti (54, residente a Quartu: assistito dall'avvocato Marco Scano, è il referente del servizio mensa, cucina e logistica della Caritas diocesana di Cagliari) e Guido Afflitto (63 anni, di Monastir, legato alla società “Sarda Recupero tessili”). Il pm è invece orientato a chiedere l'archiviazione per Tonino Marras, di Torre degli Ulivi: a suo carico non sono emersi elementi e presto l'uomo, difeso dall'avvocato Carlo Monaldi, potrebbe uscire dall'inchiesta.
Quale sia il ruolo ricoperto da ciascuno nella vicenda è ben spiegato nell'ordine che ha portato, il 6 gennaio, a mettere i sigilli su un carico di indumenti stipati in un semi rimorchio in partenza per Napoli dal porto di Cagliari (proprio ieri il giudice delle indagini preliminari Giampaolo Casula ne ha confermato il sequestro preventivo). La coppia, secondo la Dda, si era proposta come intermediaria con l'azienda proprietaria del carico per «acquistare, raccogliere, trasportare, vendere e gestire abusivamente» gli abiti dismessi grazie a «numerosi contatti con dipendenti e collaboratori della Caritas», amministrazioni pubbliche e imprese private, ditte di trasporto e aziende specializzate nel trattamento dei materiali». Marito e moglie, così sostengono gli inquirenti, «sapevano come aggirare» le rigide norme su quella materia avendo «più volte discusso» tra loro «di ciò che sarebbe stato necessario fare per essere in regola»: servivano l'autorizzazione alla raccolta, la disponibilità di un deposito autorizzato e i formulari per i trasporti. Per «eventuali controlli» confidavano «nella copertura derivante dall'utilizzo del nome e del logo Caritas». Una possibilità data loro, secondo quanto risulta al sostituto procuratore, da don Marco Lai.
Ipotesi che pare confermata dal documento sequestrato 24 ore fa: la pratica che ha consentito a Cesarini di ottenere la concessione del logo Caritas e raccogliere il vestiario in nome dell'ente benefico. Ora la domanda è: don Lai, e più in generale la Caritas, non si è accorto del raggiro (presunto) messo in piedi dalla coppia? E poi: perché stipulare quella convenzione? Nessuno si è premurato di verificare cosa facessero marito e moglie? Che dire dell'ipotesi secondo cui gli indagati avrebbero ottenuto un profitto di «non meno di 7.500 euro» ogni 30 tonnellate vendendo i vestiti-rifiuti al prezzo di 25 centesimi al chilo «in gran parte» alla società «Eurofrip di Casoria» che svolge attività di riciclo? Al momento la Curia tace, se si esclude un comunicato trasmesso il 7 gennaio, e lo stesso don Lai non ha ancora dato la sua versione. Non ai quotidiani né ai magistrati, che al momento non hanno ritenuto di doverlo interrogare. Unica iniziativa, la decisione della Caritas - che si ritiene parte offesa - di nominare come suo legale l'avvocato Emanuele Pisano.
Il tutto mentre proseguono anche le visite degli investigatori nei vari Comuni del Cagliaritano, del Nuorese e dell'Oristanese per acquisire gli incartamenti sugli affidamenti diretti del ritiro degli indumenti usati, parte minore del più vasto servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani. Si vuole capire chi, e in che modo, ha deciso di assegnare l'incarico a privati, società o associazioni. Solo nell'hinterland del capoluogo sono una ventina i Municipi da visitare. Tra questi ci sarebbe anche Quartu, dove sarebbe già partita un'indagine interna per accertare eventuali violazioni nella decisione di assegnare a Cesarini l'autorizzazione a sistemare in città i contenitori per la raccolta degli indumenti.
Andrea Manunza