Si pensa a un terzo termovalorizzatore sardo ma è già arduo tenere in piedi i primi due
Diminuiscono i rifiuti da smaltire, aumentano le tariffe dell'inceneritore: il rapporto causa-effetto, per quanto strano, sembra innegabile guardando i dati del Tecnocasic, stabilimento che raccoglie, tratta e distrugge l'immondizia di tutto l'hinterland di Cagliari. Nel 2007 venivano bruciate, pardon, termovalorizzate nei tre forni dello stabilimento 159mila tonnellate all'anno, a un costo di 121 euro a tonnellata. Ma la raccolta differenziata ancora non era entrata prepotentemente nelle case della provincia e così negli anni la massa di rifiuti da distruggere si è assottigliata fino a circa 110-120mila tonnellate.
E la tariffa di smaltimento? L'impennata è stata costante: negli ultimi otto anni la crescita ha sfiorato il 50 per cento e si è arrivati alla tariffa attuale (ferma da due anni, «pur con notevoli sacrifici», come spiegò l'amministratore del Tecnocasic a fine 2014) di 179 euro a tonnellata, che va a incidere pesantemente sul primato nazionale conquistato dal Comune di Cagliari per la Tari.
IL CONFRONTO Non è un caso che nel resto d'Italia lo smaltimento della frazione indifferenziata costi molto meno rispetto ai prezzi dello stabilimento di Macchiareddu. A Piacenza si spendono 117 euro a tonnellata, a Reggio Emilia 105, a Torino 92, a Napoli 109. «Con il revamping, cioè la rigenerazione degli impianti, insieme alla realizzazione di una nuova discarica per raccogliere gli inerti, la tariffa del Tecnocasic può calare del 40 per cento», avverte Fabrizio Marcello, presidente della commissione Servizi tecnologici - in quota Pd - del consiglio comunale di Cagliari.
I PROGETTI E già. Perché oltre al terzo inceneritore che il governo nazionale vorrebbe far nascere a Porto Torres, c'è il mega-progetto di potenziamento dello stabilimento di Macchiareddu, inserito nel piano triennale dei lavori del Cacip (il consorzio industriale di Cagliari), proprietario del Tecnocasic. Inizio lavori previsto nel 2016, fine del 2018, per un totale di 46,7 milioni di euro. L'altra opera giudicata «strategica» per il business della società, che ha chiuso il 2014 con un utile in bilancio di 389mila euro, è la nuova discarica di Uta. Realizzare la stazione di stoccaggio consentirebbe di non dover più spendere per smaltire gli inerti, cioè le ceneri che rimangono nei forni dopo l'incenerimento dei rifiuti. «La società spende 13 milioni di euro per portare i residui nella discarica di Villacidro», fa sapere Marcello.
L'investimento della discarica sarebbe ripagato in un anno, visto che il piano triennale prevede una spesa di 12,5 milioni di euro per l'opera, che nel vicinato nessuno vuole (il Comune di Uta ha già presentato le proprie osservazioni all'assessorato all'Ambiente). Ma i due cantieri sembrano una questione di vita o di morte.
PERDITE DA TAMPONARE Soprattutto il revamping. Il perché viene spiegato nell'ultimo bilancio del Cacip, dove si legge: «I costi manutentivi degli impianti sono oramai proibitivi», visto che «ogni fermo impianto oltre a causare una perdita diretta correlata ai minori rifiuti trattati, determina una serie di diseconomie secondarie come il blocco della produzione dell'energia e la necessità di ricorrere alla discarica con un aggravio dei costi». Che in buona parte vengono scaricati sui Comuni: il «bacino d'ambito» viene stabilito dalla Regione, ma teoricamente, se si trovano offerte migliori per lo smaltimento, le singole amministrazioni possono - tra mille difficoltà - chiedere di poter smaltire i rifiuti in un'altra struttura.
Succede, ad esempio, per la frazione umida di alcuni centri importanti come Assemini: troppo alta la tariffa di 113 euro a tonnellata, meglio portare tutto (a 91 euro) nella discarica di Serramanna.
Michele Ruffi