Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Rimborsi in ritardo, trenta aziende in agonia

Fonte: L'Unione Sarda
26 marzo 2009

Alluvione. C'è chi ha chiuso, chi rischia di farlo tra breve, chi ha licenziato parte dei dipendenti

«Non sappiamo nemmeno a chi chiedere informazioni, è la fine»

Inseguiti dai creditori, abbandonati dalle banche. «Siamo a rischio alluvione, non possiamo nemmeno vendere i capannoni».
Gabriella Vargiu aveva una tipografia, la Edigraf, dal 1991. Ottimo fatturato, cinque dipendenti, buone prospettive di crescita. L'alluvione del novembre 2005 le aveva allagato il capannone rovinandole i macchinari. Ferita, si era rimessa in piedi nonostante il Comune di Cagliari non le abbia mai risarcito 80 mila euro di danni che le spettavano (infatti è in causa). Il 22 ottobre scorso l'acqua e il fango sono tornati. Hanno superato il metro d'altezza sommergendo macchinari, uffici, materiale. I suoi dipendenti, che si trovavano all'interno, si sono salvati nuotando verso l'uscita: almeno 50 mila euro di danni. Il 25 novembre ha dovuto chiudere e licenziare tutti.
COMUNE INADEMPIENTE Avrebbe potuto provare a ripartire se il Comune le avesse risarcito i 30 mila euro (tetto massimo) che le spettano. Non ha ottenuto nulla. Non sa come pagare il mutuo per il capannone né può venderlo perché quella zona, cuore pulsante dell'imprenditoria locale alle porte della città, è a rischio idrogeologico e nessuno compra nulla.
TRENTA AZIENDE NEI GUAI Oltre trenta aziende, in questo quadrilatero maledetto tra viale Elmas, via dell'Agricoltura, le statali 130 e 554 - sono nella stessa situazione. Imprenditori sull'orlo dell'abisso, con le banche e i creditori alle calcagna. Frustrati innanzitutto perché hanno chiesto rimborsi per i danni subiti e non sanno né chi glieli deve dare né quando e se li avranno. Ma soprattutto perché hanno la consapevolezza che se nessuno interviene per eliminare le cause degli allagamenti - ben note e documentate da almeno 15 anni - il prossimo inverno succederà di nuovo.
FIUMI D'ACQUA «In questa zona confluiscono le acque di una parte della 554 e di viale Elmas», spiega Antonio Cardia, imprenditore proprietario di quattro ettari di terreno e di alcuni capannoni. «Sino ai primi anni '80 confluivano su un canale che scaricava su Santa Gilla, poi le hanno dirottate verso la Scaffa. Il problema è che il canale è sempre ostruito da detriti e incontra alcuni imbuti, in particolare un ponte vicino alla statale 130 che passa sopra un tubo con un diametro ridicolo. Così quando piove il canale si riempie e l'acqua esonda sino ad allagare i capannoni. Personalmente denuncio questa situazione dal 2001: non è mai cambiato nulla».
800 MILA EURO DI DANNI Davide Volponi amministra assieme alla sorella Barbara un'azienda di legnami con cinque dipendenti. La mattina del 23 ottobre ha raggiunto la sede di via dell'Agricoltura in gommone ed ha visto travi e pannelli di compensato galleggiare nel piazzale. «L'acqua arrivava da tre direzioni: ha sfondato muri abusivi che facevano da diga, scendeva da una collina con manufatti che non si sa di chi siano». Risultato: 800 mila euro di danni, secondo una perizia di parte. Ammesso che un giorno arrivi un rimborso, avranno 30 mila euro. Loro si sono rimboccati le maniche ed hanno ricominciato. Il dramma è un altro: «La nostra azienda sta tra Elmas e Cagliari: un pezzo di competenza ce l'ha Elmas, un altro Cagliari, un altro ancora le Ferrovie dello Stato. Per le acque bianche ci si deve rivolgere ad Abbanoa, per quelle nere a Cagliari. In questa giungla nessuno si assume una responsabilità».
IL DRAMMA DEI TRE FRATELLI Ignazio Lecca è proprietario con due fratelli della Gir mobili, una falegnameria che realizza arredi per molti negozi in tutta la regione. Sono nati nel '93 dal nulla e piano piano sono cresciuti. Il nubifragio del 2005 ha distrutto un macchinario importante: 37 mila euro di danni. Hanno ricominciato in attesa dei rimborsi. Poi è arrivato il 22 ottobre: atri macchinari rovinati e 47 mila euro di danni. Ora hanno molti ordini da evadere ma non possono lavorare perché non hanno più un soldo nemmeno per comprare il materiale. «La produzione è crollata dell'80 per cento, né la banca né le finanziarie ci danno più un soldo perché non siamo riusciti ad onorare le scadenze. Persino l'avvocato che ci stava seguendo la causa per avere i rimborsi del 2005 ci ha fatto causa a sua volta perché non riusciamo a pagarlo». Per mangiare hanno dovuto chiedere soldi ai familiari. Ora i soldi sono finiti. Se arriveranno i rimborsi potranno riprendere a lavorare, altrimenti chiuderanno. «E non ci rimarrà che buttarci dal Bastione».
TUTTI CONTRO REGIONE E COMUNE Tutti ce l'hanno con la Regione e con il Comune. Sia sul fronte dei rimborsi (deve erogarli il Comune sulla base dei fondi regionali) che su quello degli interventi sul canale. «Abbiamo presentato la richiesta alla Polizia municipale, ma chi debba darci i soldi è un mistero. Abbiamo fatto mille telefonate a uffici comunali e regionali, non ne siamo venuti a capo». Roba da terzo mondo.
LA PROCEDURA In realtà il Comune ha raccolto le richieste, le ha istruite in tempi ragionevoli (ha istituito una task force che ha evaso quasi tutte le pratiche), le ha mandate alla Regione, che le verifica e trasferisce i fondi ai Comuni, che li eroga ai richiedenti. Il problema è che è stata richiesta documentazione integrativa ad alcune aziende. Inoltre fino a quando tutti i Comuni sardi non presenteranno le richieste non si muoverà nulla.
Salvatore Faedda ha un'azienda di trasformazioni ittiche, Su Tianu Sardu. Ha avuto 30 mila euro di danni e aspetta i rimborsi. «Mi hanno detto che se me li daranno dovranno calcolarli sulla base della dichiarazione dei redditi. Senza tener conto di chi ci ha lavorato, del materiale, dei giorni di lavori persi». Enrico Pacini (Ingrosso alimentare Il Casale) ha avuto danni minori perché la sua porta ermetica ha arginato l'impatto violento dell'acqua e del fango. «Ma sono solidale con i colleghi».
L'ASSICURAZIONE NON PAGHERÀ Alla Sarmos, l'azienda di ricambi per auto di Lorenzo Morabito, l'acqua è arrivata a due metri. «Siamo stati fermi per due settimane, e per fortuna l'assicurazione ha pagato. Ma è la seconda volta e mi hanno già detto che la terza non cacceranno un euro». Vincenzo Bodano (Bodan Chimica) ha ottenuto dal Comune almeno la garanzia che avrebbero pulito il canale regolarmente. «Invece non l'hanno mai fatto», denuncia. «E meno male che questa è la zona più produttiva della città, figuriamoci se fossimo stati periferia». Anche Bodano, come Gabriella Vargiu, si sarebbe potuto risollevare affittando parte dei locali del suo capannone. «Ma non li vuole nessuno».
TUTTO BLOCCATO Antonio Cardia è proprietario di parte dell'area. Che, paradossalmente, dovrebbe ancora svilupparsi: capannoni, strade, edifici. Ma in queste condizioni idrogeologiche, ogni costruzione peggiorerebbe la situazione facendo salire il livello dell'acqua in caso di allagamenti. Infatti hanno dichiarato la zona a rischio, l'hanno inserita nel Pai (Piano di assetto idrogeologico), e non si può erigere nemmeno un pilastro. «Aveva investito lì i soldi di una vita, ora sono nei pasticci». Aveva venti dipendenti, li ha dovuti licenziare».
L'INDIFFERENZA Qualcuno ha chiuso, altri stanno per chiudere. Uccisi dalla natura che si vendica dei disastri dell'uomo - che qui abbondano - e da una burocrazia farraginosa. «Loro mangiano sempre, noi no».
FABIO MANCA

26/03/2009