La denuncia del Centro Democratico Sardegna sui ritardi nel piano nazionale
Ogni anno in Italia 60 mila persone scompaiono per morte cardiaca improvvisa. Sarebbero il 55, anche il 60 per cento in meno, se ogni situazione critica fosse gestita con tempestività e un defibrillatore. Invece, a due mesi dalla scadenza imposta dal decreto Balduzzi, che obbliga ogni società sportiva a dotarsi del macchinario, in Sardegna si naviga a vista. Senza chiarezza, né linee guida, affidati al massimo alle iniziative di singoli Comuni. Questa la denuncia del Centro Democratico Sardegna, che giovedì nel convegno Salvare una vita si può…entro cinque minuti ha sviscerato un tema scottante, per la sua prepotente attualità e la difficoltà di messa in atto.
«Vogliamo sensibilizzare l'opinione pubblica, il mondo dello sport e delle istituzioni perché si dia un'accelerata all'installazione di un defibrillatore in ogni impianto sportivo», ha ribadito Roberto Desini, capogruppo in Consiglio regionale, «ci stiamo attivando per recuperare risorse necessarie non solo all'acquisto, ma anche alla formazione: bastano pochi minuti di istruzione, per salvare vite». Che non sono soltanto quelle in campo. «Il decreto non solo tutela chi pratica, ma anche chi assiste», ha precisato Gianfranco Ganau, presidente del Consiglio regionale, «il defibrillatore andrebbe posizionato in tutti i luoghi pubblici». Poi revisionato, pulito, a volte sostituito.
Una prassi che richiede investimenti importanti e un progetto unitario. «Le iniziative locali sono lodevoli, ma insufficienti», è stato il commento di Andrea Delpin, presidente regionale di Federcalcio, salvato lui stesso dall'intervento con defibrillatore nel 2009. A fargli eco, il numero uno del Coni regionale, Gianfranco Fara. «Il comitato nazionale ha stipulato un accordo con la Federazione italiana medici sportivi, ma va attuato a livello regionale». Il tutto entro il 24 gennaio 2016.
Clara Mulas