Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Ma “La Jura” ha diviso il pubblico

Fonte: L'Unione Sarda
23 novembre 2015

Lirico La prima cagliaritana dell'opera


 

 

S i comincia con un drone, che dall'alto trasforma le montagne galluresi in nuvole inquietanti. Si finisce con nove chilometri e mezzo di fili bianchi, omaggio all'arte tessile di Aggius, a Maria Lai e alle Parche. È una commistione di arcaico e moderno, un passare dai colori di Biasi alle citazioni futuriste, dalla dinamicità dei video alla staticità della scena teatrale, “La Jura” di Gavino Gabriel che venerdì sera è tornata al Lirico di Cagliari dopo oltre mezzo secolo. La regia di Cristian Taraborrelli, autore di scene e costumi, sarebbero probabilmente piaciute al compositore tempiese, pioniere dell'etnomusicologia, che amava la fusione dei linguaggi espressivi, e ha dedicato molto tempo della sua vita a riscrivere la stessa opera.
La vicenda, ambientata in un mondo arcaico, si nutre di amori infelici, tradimenti, spergiuri. Cinque i quadri. Cinque momenti chiusi, a dirci che i protagonisti sono sovrastati da riti, simboli e regole della comunità. Una scelta stilistica che toglie però ritmo alla drammaturgia. Filo rosso della storia, l'anima infelice di Pasca, la folle, che attraversa i vari quadri all'inseguimento della figlioletta morta.
Dopo due ore, gli applausi scaldano la sala, nonostante le poltrone vuote. Troppe, per una prima nazionale che proponeva una partitura inedita, curata da Susanna Pasticci. È lei l'anima di un progetto - finanziato dalla Regione - che va oltre l'opera. Un work in progress, come “La Jura”. Ed è forse questo l'elemento più interessante. Assai vari gli umori del pubblico. Punti fermi, la prova dell'orchestra e del coro diretti da Sandro Sanna (maestro del coro Gaetano Mastroiaco); la compagnia, in gran parte formata da cantanti sardi (su tutti un'appassionata Paoletta Marrocu); il coro a tàsgia dell'Accademia popolare gallurese Gavino Gabriel preparato da Fabrizio Ruggero. Particolarmente ammirato l'intermezzo della Disispirata, affidato a un assolo di violoncello e accostato a un cambio di scena assolutamente onirico. Tra gli addetti ai lavori, c'è chi ha trovato lenta la drammaturgia, noiosa la musica, debole il finale (salvato dal coro a tàsgia). E chi definisce originale, coraggioso e raffinato il linguaggio musicale.
Maria Paola Masala