Appello di una madre trentenne: chiedo aiuto, mi serve un lavoro per andare avanti
La disperazione di Katiuscia, la bimba più piccola ha sei mesi
«Chiedo un lavoro o che mi aiutino ad aprire una bancarella e ad avere un permesso, magari per vendere frutta. Aiutatemi, fatelo per i miei 4 figli». Il grido di disperazione di Katiuscia non può restare inascoltato di fronte ai suoi 30 anni e alla sua tribù di occhi vispi e sorridenti: 11 anni, 4 anni, due, sei mesi. Tanto più se anche il suo compagno non ha più un lavoro e a 52 anni non riesce a rimettersi in gioco, dopo aver lavorato una vita.
Dentro questa palazzina comunale, quartiere San Michele, Katiuscia combatte la sua povertà, da quando apre gli occhi e si guarda attorno: 40 metri quadri di muffa e umidità, muri scrostati e che cadono a pezzi, infissi mezzo rotti e mobili tenuti in piedi con i mattoni. «La mia casa»: cucina, bagno e due camere mignon, una per i due maschietti di 11 e due anni, l'altra per il resto della famiglia, con un letto a due piazze per lei, il marito e la figlia di 4 anni, un lettino con le sbarre per la piccolina di sei mesi e un armadio. «I bambini vivono in una camera senza finestra, perché quella che c'era è stata sigillata dai vigili del fuoco, per la precarietà della facciata esterna: il bagno è nelle stesse condizioni, senza più doppia finestra e mio marito deve vigilare che non entri nessuno di notte».
Katiuscia chiede aiuto, confessa di essere «al limite», stanca di «bussare a tutte le porte», ai Servizi sociali che già conoscono il suo caso. «Sanno tutto di me, ma di più non riescono a fare». La casa cade a pezzi, le cantine sono inagibili, l'unico aiuto concreto è quello della Caritas che ogni mese le passa il tanto per mangiare. «Ma non basta e da quando il mio compagno è stato licenziato in tronco, nonostante un contratto a tempo indeterminato, dentro casa non entra più un euro». Niente merendine e Happy meal per i bambini, mai uno svago o un compleanno: «Licenziato mio marito, siamo andati avanti sino ad agosto con 700 euro, con il lavoro in una cooperativa che mi è stato assegnato con il bando comunale per le povertà estreme: da allora il baratro». Non è un modo di dire: «Stiamo vivendo con 160 euro al mese del bonus bebé e gli 80 euro delle carte acquisti dell'Inps per i figli più piccoli, ogni due mesi, quando arrivano: chiedo un lavoro, non voglio un contributo che non mi basterebbe a far vivere i miei figli». Il più grande frequenta la prima media: «Ma non ha neanche i libri - racconta la madre - mio figlio non ha diritto a studiare come gli altri». I Servizi sociali fanno quel che possono: ogni anno si spendono 4 milioni e 800 mila euro per circa duemila famiglie da assistere. «Mi viene risposto - dice Katiuscia - che non mi spetta il contributo perché mio figlio maggiore frequenta un centro ludico: non ci va da due mesi eppure continuo a non avere nulla. Ma anche se così fosse, i miei figli non hanno diritto di mangiare, vestirsi e studiare come i loro coetanei»?
Carla Raggio