- Ha preso il via, al Massimo di Cagliari, la nuova stagione targata CeDAC
È una umanità dantesca, quella che si stacca dai bordi di quadri celeberrimi. Proiettate su un tessuto morbido, le immagini sono solo lo spunto per una narrazione molto corporea fatta di movimenti aguzzi sottolineati, passo per passo, dalla musica di Xavier Demerliac.
Sono degli atleti, i protagonisti di “Marie -Louise”, il lavoro di Florence Caillon andato in scena mercoledì scorso al Teatro Massimo di Cagliari. A inaugurare la nuova stagione della CeDac, uno spettacolodedicato alle abilità circensi, alla lezione dei grandi maestri della pittura, alla danza intesa come azione.
La scena si apre con “Gli amanti” (bendati) di René Magritte. E prosegue, con un salto di secoli, con “Il giardino delle delizie” di Hieronymus Bosch. Che non è un eden ma un mondo popolato di creature mostruose e di vegetali minacciosi materializzati dai costumi di Flora Loyau. La visione delle opere non è mai completa ma parziale: sono i particolari, parecchio ingranditi, a portare lo spettatore dentro le tele. Si scopre così ogni minuzioso dettaglio delle scene di Goya o Caillebotte e l'immersione è completa, quando, riprendendo “L'annunciazione a Maria” di Sandro Botticelli, il danzatore piega le sue mani nella medesima posizione di quelle della Vergine. Ma non rivendica nessuna fedeltà, “Marie -Louise”. È piuttosto un viaggio, anzi una corsa e un arrampicarsi, un intreccio di membra, un continuo formarsi d'incontri e abbandoni. Laura Colin, Arnaud Jamin, Victoria Belen Ramirez, Farid Ayelem Rahmouni, Marion Soyer, Guillaume Varin ne sono i valorosi protagonisti. Si sospendono per aria, si esibiscono in acrobazie che giustificano la definizione di “circo coreografico”. Un circo piuttosto dolente, fatto di grande sforzo fisico, di una tensione che non si scioglie mai, anzi si intensifica col passare dei minuti.
Dominique Maréchal e Gilles Mogis, responsabili delle luci, accentuano la drammaticità della rappresentazione con molto rosso e un mirabile gioco di ombre. Il finale, in assoluta coerenza, parla di un naufragio attraversole figure disperate ritratte da Théodore Géricault: “La zattera della medusa” rievoca un fatto tragico avvenuto nel 1816.
Lo spettacolo va in scena al Teatro Massimo sino a domenica.
Alessandra Menesini