Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Jenny ed Efisino, i legami perduti

Fonte: L'Unione Sarda
2 novembre 2015

 

C'è una rosa avvizzita ai piedi del sepolcro di Jenny. Lo stelo lungo, il bocciolo secco. Dev'essere stato l'omaggio di un visitatore, un fiore posato chissà quando davanti a questa cappella dove il tempo ha cancellato il dolore, e la memoria si tramanda ormai dentro una storia che sembra un romanzo. La storia di due sorelle uccise dalle malelingue, che da quasi un secolo non passa più dentro i racconti di famiglia, trame di ricordo e d'affetto che fissano i legami tra generazioni, catene che non si snodano soltanto dentro il dna ma si tramandano altresì nell'epica degli antenati. Jenny Nurchis e sua sorella Amina non hanno avuto una discendenza. Nessun figlio, nessun nipote, neanche un cugino che ne abbia raccontato la storia così come si fa per custodirla nella rete dei parenti.
Una famiglia spezzata, la loro, come altre ce ne sono dentro questo giardino della memoria che è il il cimitero monumentale di Bonaria, la città di pietra dove riposa la Cagliari dell'Ottocento. Viali che si dipanano tra le lapidi, le tombe dei bambini, le statue scolpite da Giuseppe Sartorio e da altre firme allora di grido dell'arte funeraria. Sepolcri oggi coperti da una mano di polvere densa, molti ancora curati dalle vecchie zie di famiglia o dai domestici filippini; tanti, invece, oramai abbandonati, dimenticati come cose di nessuno.
Non c'è un altro luogo come il cimitero monumentale di Bonaria che possa raccontare meglio il senso della vita e della morte. Che, poi, altro non è che il senso dell'amore, del vincolo d'affetto, d'elezione, di amicizia che lega le persone, parenti o no che siano. E magari, nel giorno di Ognissanti - festività dedicata alla memoria - ce lo dovremmo chiedere perché ci sono tombe distrutte dall'oblio, con i calcinacci e le lapidi rovinati a terra, gli inginocchiatoi divelti, il cancello mangiato dalla ruggine.
La fine della memoria familiare ha l'odore del degrado. «Si avverte il distacco generazionale, e non solo perché è un luogo che, per quanto riguarda le concessioni di spazi, si è come cristallizzato al 1968. Non c'è la sofferenza che si vede al cimitero di San Michele, dove il dolore si vive quotidianamente e il lutto è un'esperienza vicina. Qui c'è serenità e, appunto, oblio».
Nicola Castangia, 52 anni, è il coordinatore dei Servizi di valorizzazione del cimitero monumentale di Cagliari. È lui che forma le guide che accompagnano i visitatori («In media tre, quattro pullman la settimana») lungo i viali e dentro le storie di casati nobiliari e famiglie borghesi, tragedie d'amore e lutti materni, gesta eroiche e piccole virtù edificanti. Conosce il camposanto come le sue tasche, studia, si documenta, cerca e rintraccia documenti d'archivio. Assieme ai colleghi è la memoria delle anime di chi, qua dentro, dai parenti non riceve neanche più un fiore, figurarsi una preghiera. «Il dolore, le tragedie familiari - spiega Castangia -, spesso finiscono per essere dimenticati dai discendenti. Ma tante volte questo accade perché una discendenza non c'è più». Nessun ricordo perché la famiglia si è estinta.
Apposta il Comune sta requisendo le cappelle dimenticate. Tombe cadenti, coperte di polvere e ragnatele. Dodici solo nel settembre scorso (vanno ad aggiungersi alle otto di cui era già stata dichiarata decaduta la concessione), tra queste il sepolcro delle sorelle Nurchis e quello di Efisino Devoto, il piccolo di tre anni il cui monumento funerario, firmato dallo scultore Giuseppe Sartorio nel 1887, è uno dei più ammirati. “Cattivo, perché non ti risvegli?” è l'epitaffio ai piedi della seggiolina su cui dorme il bambino di marmo, confortato ormai solo dalla mano del tempo. Nessuno più - a parte le guide del cimitero e gli autori appassionati di biografie - s'interessava al ricordo di quel dolore.
E chissà quand'è stato posato l'ultimo fiore nel sepolcro di Amina e Jenny, figlie dell'avvocato Antonio Nurchis e di Giuseppina Nonnis. La più piccola, Amina, morì diciassettenne nel febbraio 1884, e pur così giovane era già una celebrità in Sardegna poiché fu la prima ragazza a conseguire la licenza ginnasiale nella scuola pubblica, studi al tempo permessi soltanto ai maschi.
Anche la maggiore, morta suicida nella tarda primavera del 1886, aveva frequentato quel corso sfidando a viso aperto i pettegolezzi. “Buona e confidente Jenny, spenta anzitempo da crudeli disinganni”, sta scritto ai piedi della statua che la ritrae con il suo violino, lo spartito, i libri. Un mondo di bellezza e di poesia trascinato nel fango dalle malelingue, dalle voci sul suo onore, e su quello della sorellina, che correvano di bocca in bocca. Il fidanzato la abbandonò, lei si arrese.
«Si era uccisa perché non poteva sopravvivere alla maldicenza». Annalisa Patteri, imprenditrice di 35 anni, è di Dorgali e durante gli anni dei suoi studi a Cagliari («Mi sono laureata in Lingue straniere») visitava sovente il cimitero di Bonaria. La storia di Jenny se l'è presa a cuore. «Ma, a parte il certificato di morte, non ho trovato niente. È come se lei, Amina, la loro famiglia, si siano dissolte nel nulla».
C'è un necrologio, però, l'annuncio funebre per la morte di Amina pubblicato dall'Avvenire di Sardegna mercoledì 20 febbraio 1884. “Amina e sua sorella - è scritto - furono le prime che in Cagliari, buttando via da un canto i sottili pregiudizi e affrontando le dicerie del volgo, si diedero a coltivare con assiduità gli studi, e frequentando le scuole pubbliche si distinsero per ingegno e attività”. I sottili pregiudizi, le dicerie del volgo. Era questa la città che ha ucciso Jenny, la ragazza che sognava una laurea. Venne sepolta dalla madre, rimasta vedova dieci mesi dopo la morte di Amina. Nella cripta, sotto la grata di ferro, c'è una scritta sulla lapide: “Questa tomba non deve essere mai toccata. È volontà dei morti, rispettatela”.
Piera Serusi