Enti locali e centralità dello Stato
Massimiliano Lenzi M a quale primato della politica, qui siamo al ritorno dei prefetti. Il caso di Roma, con il sindaco eletto Ignazio Marino, del Pd - sfiduciato dalla maggioranza dei consiglieri comunali, in gran parte del suo stesso partito - sostituito dal prefetto di Milano Francesco Paolo Tronca, designato Commissario per Roma, oltre ad incarnare un fallimento della politica segna il ritorno della centralità dello Stato nelle decisioni che riguardano gli enti locali.
Soltanto nel 2014 il premier Matteo Renzi spiegava di voler ridurre le prefetture da 105 a 40 ma il caso Roma rappresenta soprattutto il fatto per una questione istituzionale: non è il numero ma il peso dei ruoli che segna il valore delle funzioni ed il Prefetto è tornato a splendere in Italia come una volta. Sembrano lontani i tempi in cui Luigi Einaudi voleva abolire la figura del prefetto, una «lue - la definiva - inoculata nel corpo politico italiano da Napoleone». E proprio “Via il prefetto!” fu il titolo di un suo lungo articolo pubblicato il 17 luglio 1944 - con lo pseudonimo di Junius. Democrazia e prefetti “repugnano profondamente l'una all'altra”, sosteneva Einaudi. «La classe politica - aggiungeva - non si forma se l'eletto ad amministrare le cose municipali o provinciali o regionali non è pienamente responsabile per l'opera propria». Per Einaudi, insomma, l'eccesso di centralismo incarnava i rischi di sprechi e malversazioni mentre, purtroppo, nell'Italia di oggi è la frammentazione federalista e regionale - come ha denunciato pochi giorni fa il Presidente dell'Anticorruzione Raffaele Cantone, ad aver segnalato il rischio di una spesa pubblica fuori da ogni controllo.
Nei rilievi di Einaudi, però, c'era un altro aspetto che toccava direttamente la qualità della democrazia: non si tema - sottolineava - dall'abolizione del prefetto, ammoniva da ultimo, alcun danno per l'unità della nazione. Dannosi, invece, sono «una burocrazia pronta ad ubbidire ad ogni padrone, non radicata nel luogo, indifferente alle sorti degli amministrati; un ceto politico oggetto di dispregio, abbassato a cursore di anticamere prefettizie e ministeriali […]».
Eccoci al dunque: il caso di Roma pone una domanda, che è e sarà della democrazia. Che succederà se i prefetti sostituiranno il ruolo avuto dai tecnici, in Italia, durante l'emergenza economica dello spread, in barba alle scelte fatte dagli italiani con il loro voto in libere elezioni? Un interrogativo sostanziale che investe in pieno la crisi di rappresentanza dei tempi che viviamo e la crisi della élite politica. Se infatti la soluzione ai cattivi politici eletti sarà sostituirli o commissariarli con i prefetti, non solo non si rinnoverà mai la classe dirigente ma si finirà di fatto col commissariare la democrazia, ribaltando l'auspicio di Luigi Einaudi nel suo esatto contrario: anziché via i Prefetti, via i politici. Una prospettiva, nonostante tutto il male che si possa pensare della politica, non certo allegra per la democrazia.