Meglio un giorno di vacanza in più che uno di lutto cittadino, ha detto nei giorni scorsi il sindaco Zedda. Visti i precedenti verrebbe da aggiungere: meglio anche che finire sotto processo con l'accusa di omicidio colposo e disastro colposo per la mancata diffusione dell'allerta meteo. Perché, in realtà, il rischio che corrono i sindaci in Sardegna e in tutte le zone d'Italia colpite da alluvioni, è questo: essere sommersi dalle polemiche per non essere stati sufficientemente allarmisti quando capita che le strade crollano e la gente muore. È successo, per ultimi in ordine di tempo, ai sindaci di Olbia e Arzachena, Gianni Giovannelli e Alberto Ragnedda, per le alluvioni del novembre 2013. Mesi prima della tragedia la protezione civile aveva lanciato un'allerta di gravità massima, ma in quell'occasione la tempesta si era sfogata nel Tirreno senza toccare la Sardegna orientale. I sindaci, insomma, avevano preso precauzioni inutilmente. Il 18 novembre fu un disastro, con 19 morti di cui 13 solo in Gallura, e nel fascicolo aperto dalla Procura di Tempio per verificare le responsabilità della tragedia, finirono sotto indagine i due sindaci. Stessa sorte toccò a Giorgio Marongiu, sindaco di Capoterra nel 2008 quando l'alluvione uccise 5 persone: sotto accusa per rifiuto d'atti d'ufficio (nonostante l'allerta meteo del 21 ottobre del 2008 non avrebbe vietato il transito nelle strade a rischio, né avrebbe avvertito i cittadini) e per omicidio colposo. E i sindaci adesso si attengono strettamente alle direttive della Protezione civile.
Roberto Murgia