Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Eventi Affascinante mostra all'Exmà di Cagliari: viaggio nell'anima dell'Isola Arte al profumo di pa

Fonte: L'Unione Sarda
20 luglio 2015

 

R ettangoli di pane carasau così simili a una terra riarsa che attende la pioggia. Una sequenza di segni nuragici (ancora di carasau su sfondo nero) dai quali Marco Pili estrae la potenza simbolica della dea madre. Focacce tonde, piene, che lievitano con le parole della poesia incise sulla ceramica da Gianfranco Pintus. E poi i delicatissimi giardini di carta e acquarello, terre di passaggio di Lalla Lussu, dalle quali germogliano chicchi di grano. Campi di spighe dorate del Sinis, visti in volo col parapendio da Francesco Cubeddu. E un pupo di pane (per la prima volta in mostra), scolpito come un Gesù Bambino da Maria Lai; il suo cuore, trafitto da un chiodo, racconta la storia di Maria Pietra, scritta in Miele Amaro da Salvatore Cambosu, grande amico dell'artista di Ulassai. Racconta di una madre disperata per la morte del figlio, che impasta la farina con le lacrime, restituendo il bambino alla vita e consegnando se stessa alla pietra.
Se le parole del maestro Arturo Martini - “la scultura deve essere come il pane che lievita” - sono state il viatico nella ricerca artistica di Maria Lai, diventano vere, prendono forme espressive differenti (dalla pittura alla ceramica, dalla fotografia al video) nell'affascinante e originale (anche nel senso letterale della parola) esposizione “Pani e Madri. La forza generatrice dell'arte”. Curata dalla storica dell'arte Simona Campus, segna, con l'inaugurazione ieri pomeriggio all'Exma' di Cagliari, il suo battesimo alla direzione artistica del Consorzio Camù. Dunque, il pane alimento semplice, condiviso dai popoli del Mediterraneo, custode di profonde simbologie, diventa la bussola e il cibo di scorta per un viaggio mai banale dentro l'arte contemporanea sarda, dal '900 alle sperimentazioni del XXI secolo. «Parliamo anche noi di cibo, in un anno in cui tutti lo fanno - osserva con ironia Simona Campus - e lo facciamo valorizzando una metafora che accosta la panificazione, la sua sacralità, il suo essere un rito alla fecondazione, alla forza generatrice della vita e dell'arte stessa, e quindi alla maternità».
Sono giusto i semi delle pietre di Pinuccio Sciola, sicuro simbolo di vita, ad accogliere ancora sulla soglia del museo il visitatore consegnandogli idealmente quel chicco di grano che vedrà germogliare, in modi differenti, nei lavori dei 19 artisti ospiti nella Sala delle Volte. Dove l'impatto visivo dell'allestimento, curato da Sabrina Cuccu e Salvatore Campus, è fortissimo: una grande struttura di legno, stesso materiale sul quale si impastava il pane, e di cui ora si respira l'intenso gradevole odore, diventa elemento di divisione, che dà armonia e senso al percorso.
Che inizia, non poteva essere altrimenti, con una delle opere più commoventi e forti della scultura sarda: “Il pane” di Salvatore Ciusa, opera del 1907, dove «le mani della donna sono quelle di una sacerdotessa». A un passo i lavori di Maria Lai, gli archetipi di madri di Costantino Nivola, uno in marmo e uno in bronzo, dai quali arriva l'eco delle sue memorie di Orani, quando l'artista racconta di quel muro cavo dove si custodiva il pane, simile al ventre materno.
Dolcemente si scivola nella contemporaneità per incontrare Angelo Liberati (che cita Ciusa) e Primo Pantoli con la sua materica maternità; e ancora i cesti sardi “contaminati” dal Giappone di Roberto Ruggiu o le pintadere con le quali la designer Roberta Ciusa decora il pane. Ma anche “Sister”, video di Antonio Carboni che mostra una panificazione in Kurdistan.
La forza e la bellezza della mostra (fino al 27 settembre) sono racchiuse nell'eleganza, immune da qualsiasi traccia folcloristica, con la quale si parla di pane e di maternità. C'è un angolo intenso, percorso solo da voci di donne: i gioielli di Maria Diana dove i chicchi hanno lasciato il segno; la gioiosa opera di Nietta Condemi De Felice con i puzzoneddos votivi di Orune, e quelli della designer Anna Deplano, col pane cresciuta (i genitori erano panettieri), fino all'omaggio che Maria Jole Serreli fa alle donne della famiglia: il miracolo della panificazione. Lo reinterpreta con un'umiltà che si materializza adagiando a terra la tovaglia ricamata e il grande cesto dell''800 coi pani colorati. E ancora i pani di ceramica di Ignazia Tinti. Accanto a ogni opera il moderno qrcode: accostando uno smartphone si può ascoltare il racconto dell'artista. Come la voce di Fabiola Ledda (immagine della mostra) che a Bologna ha portato col pane cultura e identità sarde.
Caterina Pinna