Lirio Abbate ospite oggi della rassegna in corso a Cagliari
di Fabio Canessa
CAGLIARI Esattamente due giorni fa un nuovo terremoto giudiziario ha scosso Roma. Il secondo atto di Mafia Capitale, con arresti di funzionari e politici. Ad alzare il polverone era stato, già nel 2012, l'inchiesta per l'Espresso del giornalista Lirio Abbate. Un lavoro raccontato minuziosamente nel libro pubblicato di recente da Chiaralettere “I re di Roma. Destra e sinistra agli ordini di Mafia Capitale” (scritto con Marco Lillo). Di criminalità organizzata Abbate parlerà stasera a Cagliari, ospite di Leggendo Metropolitano, in un incontro dal titolo “On the road. Le strade del malaffare”. Insieme al giornalista anche il magistrato Alfonso Sabella. L'appuntamento è alle 20.30 al Bastione di Santa Croce. Abbate, che conferme arrivano dai nuovi sviluppi dell'indagine giudiziaria? «La conferma di tutto l'impianto giornalistico, dell'analisi che aveva già portato alla scoperta di un clan mafioso con a capo Massimo Carminati. Abbiamo fatto vedere che questi criminali avevano nelle mani la politica, con politici di destra e di sinistra che si piegavano alle loro richieste. È stata la conferma di quello che avevamo già visto tempo fa. E che purtroppo i romani fanno fatica a vedere come un fatto di matrice mafiosa. Si preferisce parlare di semplici truffatori, invece intellettualmente bisogna accettare la situazione qual è, far capire che le mafie hanno invaso certi territori. Le mafie si son trasformate». Questa sottovalutazione deriva da una mafia più sofisticata che evita anche spargimenti di sangue? «Sì, è l'abilità della nuova mafia. Lo dicono le intercettazioni e me lo dicevano le mie fonti, l'ho raccontato nell'inchiesta. Hanno vietato di uccidere dentro il Grande Raccordo Anulare proprio per evitare che la gente potesse aver paura, che si potessero avviare delle indagini. Se non vedi il sangue ti dimentichi della mafia perché quando si parla di mafia la si riconduce subito alle stragi, alle morti. Non si parla che stanno rubando dalle tasche dei cittadini, che inquinano l'economia legale ma anche la democrazia di una città, di un Paese. Vale anche per Palermo, nel 2014 c'è stato un solo omicidio riconducibile alla mafia. Questo non significa che la mafia non c'è più, ma che agisce solo quando deve agire, in maniera chirurgica. La stessa cosa ha fatto Carminati, operando con un metodo criminale simile a quello di Matteo Messina Denaro, il più grande latitante di Cosa Nostra che c'è oggi». Dopo questo secondo filone, bisogna prevedere altre puntate dell'inchiesta? «Certo. Come quando vai a funghi in un luogo dove mai nessuno è andato a cercarli, piano piano ne trovi tantissimi. Nessuno aveva indagato in questa direzione. Una volta che hai attivato le microspie, le intercettazioni e da questo è venuto fuori il mondo criminale, mafioso che avvolge gran parte dei salotti romani, delle stanze dei bottoni, del potere politico che sta in Campidoglio e in Regione... a cascata arriverà di tutto». C'è da aspettarsi situazioni simili in altre parti d'Italia? «Sicuramente sì, anche se magari non una criminalità così organizzata. Carminati veniva da una esperienza personale, criminale, di un certo tipo. Ex appartenente ai Nuclei Armati Rivoluzionari, legato a Cosa Nostra, in passato anche imputato per l'omicidio del giornalista Mino Pecorelli. Ha avuto contatti con i mafiosi siciliani, uomini dell'ndrangheta. Ha preso molto dal modo di organizzare delle mafie tradizionali ed è riuscito a trasformarle e migliorarle». Colpisce molto il modo in cui questa mafia riesce a lucrare sulle emergenze sociali. Come la criminalità organizzata ha messo le mani sul business dell'immigrazione? «La mafia purtroppo è intelligente. A Roma sono riusciti a trasformare tutto in emergenza, e con l'emergenza non fai appalti pubblici, vai avanti con trattative private, non segui certe regole che sarebbero obbligatorie. Si vive da anni nell'emergenza rifiuti e in quella abitativa. Poi sono arrivati i migranti e hanno visto che con pochissimo potevano guadagnare tanto. Il fascista Carminati si è messo accanto all'ex comunista Buzzi, che gestiva le cooperative, per fare affari. Il Campidoglio ha pagato alle cooperative sociali 150 milioni di euro, somme almeno triplicate rispetto al reale valore dei lavori. Così molti soldi sono finiti nelle tasche di Massimo Carminati, uno che non dichiarava nulla allo Stato e viveva da nababbo». Quali condizioni favoriscono il proliferare di questa criminalità? «La mancanza di cultura, il non vedere le cose in un certo modo e sapere com'è veramente la mafia, guardarla altrove e non rendersi conto che è sotto i tuoi piedi. La cultura penso sia l'unica arma disponibile per arginare questa mafia. Se una persona fosse culturalmente attrezzata non direbbe mai sì. Invece qui l'hanno fatto, consiglieri comunali e regionali di destra e di sinistra, e poi funzionari, gli impiegati pubblici. Serve più cultura della legalità, dell'antimafia».