“Lectio magistralis” di Remo Bodei al Festival della filosofia
di Roberta Sanna
CAGLIARI
Con Remo Bodei, in conversazione con Elisabetta Cattanei, si è chiusa domenica al Teatro Massimo l’edizione 2015 del Festival di Filosofia, incentrato sul tema “L’infinito fratricidio – Capire il male: storia, memoria, catarsi”, con diversi appuntamenti con studiosi e uomini di spettacolo: da Franco Cardini a Moni Ovadia a Bodei. Quest’ultimo cagliaritano, professore di Filosofia alla University of California di Los Angeles, che ha dedicato le sue ricerche all’idealismo classico tedesco, all’età romantica, all’estetica ed al pensiero utopico, abbiamo chiesto di riferire ai tempi attuali alcuni temi affrontati nella sua “lectio magistralis”, come la tragedia e il conflitto, a cominciare dal dolore. «Mentre nella Grecia e nella Roma antica si pensava che sopportare il dolore fosse segno di animo nobile – così ha spiegato il filosofo sardo – il problema oggi è percepito diversamente: si cerca di non provarlo. A quello rappresentato, e ne vediamo tanto nei telegiornali, si fa il callo. Ci siamo abituati a non sentirlo, soprattutto il dolore degli altri. In quanto a quello personale oggi si cerca per esempio di lenire la sofferenza fisica, e dimenticare quella psichica con i farmaci, che dovrebbero tenerci l’animo calmo e aiutarci a non soffrire. La ricerca degli stoici ed epicurei era di trovare nella filosofia una zona di pace rispetto ai problemi del mondo. È una parte del “De rerum natura” di Lucrezio: “È bello guardare dalla riva il naufragio degli altri…”, non perché ci faccia piacere che gli altri naufraghino o che vengano uccisi in guerra, ma perché noi siamo al sicuro. E quindi c’è una tendenza diffusa dall’antichità ad oggi di mettersi come spettatori del travaglio e della morte altrui, finché non si è toccati. La funzione del teatro e della lettura è questa: vedo o leggo delle cose in cui per fortuna non sono coinvolto, se no non potrei goderne». L’interrogativo sul che fare si pone però quando i naufragi avvengono sulle nostre coste. «Innanzitutto – chiarisce Bodei – con la comprensione di questi fenomeni, e del fatto che non viviamo più isolati. In un mondo globalizzato si risentono i contraccolpi di ciò che succede altrove, quindi il nostro non è più un mondo chiuso, ma aperto. Per quanto riguarda l’immigrazione, senza essere buonisti, bisogna capire che questi fenomeni non vanno semplicemente accettati, ma governati, perché per ora non si può fare diversamente. Sarebbe stato tutto diverso se non avessimo fatto tanti errori prima, provocando guerre inutili, e invece avessimo fatto crescere, per esempio, l’Africa, dove, fra l’altro, ci sono già dieci Paesi con un quoziente di crescita molto superiore a quello italiano. Se si vuol fermare il fenomeno bisogna fare uno sforzo enorme per dare sicurezza e lavoro in quei Paesi, quindi bloccare le guerre, dare sviluppo economico aumentando il prezzo delle materie prime che si esportano rispetto al costo con cui le prendiamo attualmente. E poi sviluppare la ricerca scientifica per trovare soluzioni alle malattie. È una impresa immane, forse ci vorranno secoli. Ma pensare di chiudersi dentro un sacrario o una fortezza non serve a nulla. Solo a fare come gli struzzi: mettere la testa sotto la sabbia». Riguardo ai conflitti odierni Bodei sottolinea la differenza tra ieri ed oggi. E i punti di continuità. «Perché i sentimenti fondamentali sono alla fine sempre gli stessi. L’odio, l’insofferenza, il desiderio di vendetta, il fatto che ci sono degli interessi non razionalizzabili che si scontrano. Quello che oggi si manifesta è certo il rifiuto della complessità, cioè non ascoltare le ragioni degli altri, ma anche il fatto che spesso si agisce come con il nodo gordiano. Nodi troppo aggrovigliati che si pensa di fare prima a tagliare con la spada che a risolvere. Quindi il problema si sposta sul fatto che i conflitti odierni sono di tipo diverso, alcuni con conseguenze inimmaginabili, come la guerra atomica che potrebbe distruggere il mondo. O i conflitti asimmetrici, con terroristi solitari, gente che pensa che dare la propria vita per la patria in quel modo sia non solo lecito ma glorioso».