Festival della Filosofia Benedetta Tobagi ieri al Massimo ha ragionato sul male
« C erchiamo la verità quando siamo indotti a farlo in funzione della situazione concreta, quando subiamo una specie di violenza che ci spinge verso questa ricerca». E la “situazione concreta”, come suggerisce Gilles Deleuze, è spesso un'indicibile sofferenza. La ricerca che porta alla cognizione del male inizia ogni volta che ci sono persone ferite, ha spiegato Benedetta Tobagi, citando il filosofo francese, in apertura del suo dialogo con l'amministrativista cagliaritana Paola Piras al Festival di Filosofia di Cagliari.
Dedicato a “Indagare il passato: la verità fra scienza e fiction”, l'incontro con la giornalista-scrittrice, è stato il quarto appuntamento della seconda giornata della kermesse, allestita al Massimo, dal Teatro di Sardegna e l'Università di Cagliari, curato dai filosofi Roberta De Monticelli e Pier Luigi Lecis.
Figlia di Walter Tobagi, il giornalista del Corriere della Sera, ucciso dalla “Brigata 28 marzo” (il 28 maggio ricorre il 35esimo anniversario della morte), la scrittrice ha dedicato alla memoria del padre il libro “Come mi batte forte il tuo cuore”, in cui ne ricostruisce la vita e l'omicidio nel contesto storico e politico di quegli anni. In “Una stella incoronata di buio”, il suo ultimo lavoro, anch'esso uscito per Einaudi, ricostruisce la strage in piazza della Loggia a Brescia, il 28 maggio del 1974, nel corso di una manifestazione antifascista.
Di male non c'è una sola definizione, ma dal suo punto di vista e del periodo storico che ricostruisce nei suoi libri, che cos'è il male?
«Io rimango legata a una definizione che secondo me è onnicomprensiva e che i filosofi chiamano il male morale, il male compiuto dagli uomini. L'agire malvagio che esprime la totale assenza di empatia. Alla luce della storia degli orrori del '900 il male si è manifestato in modo inimmaginabile in precedenza, con atti che non solo distruggevano le vittime, ma toglievano loro l'umanità. Il terrorismo e le stragi sono anch'essi forme di male che distruggono la vita e l'umanità delle persone. Il terrorismo di sinistra, come le mafie, riduce le vittime a simbolo da colpire, le stragi a numero».
Sapere è necessario per costruire la propria identità. La ricostruzione della verità però, è problematica. La verità spesso accosta parole inconciliabili.
«Possiamo dire di più, la verità talvolta è feroce, costringe ad affrontare qualcosa di terribile e insopportabile. Credo che si possa tracciare un'analogia tra quello che avviene a livello della psiche individuale e a livello collettivo. La terapia delle parole cerca di aiutare il paziente a ricucire gli strappi del passato integrando i traumi in una narrazione di senso. Allo stesso modo per una collettività prendere atto delle atrocità compiute è una premessa necessaria per poter costruire una convivenza solida in cui i fantasmi della vendetta non ritornino a presentare il conto e nemmeno chi ha subito le violenze debba continuare a sentire il dolore di veder negata la verità».
La memoria è controversa come la verità, a volte ricordare è un modo per intrappolare il dolore anziché liberarlo.
«La memoria può essere foriera di ulteriore violenza. Pensiamo a quello che accade tra Israele e Palestina, che è accaduto in Irlanda del Nord e in altri luoghi. Il filosofo Todorov ha distinto la memoria di morte dalla memoria di vita. La memoria di morte è quella per cui i terroristi intitolano le loro formazioni a compagni caduti per portare nuova morte. La memoria di vita è quella che raccoglie e rimette insieme i pezzi del passato per medicare le sofferenze delle vittime e cerca un modo di superare i conflitti senza versare altro sangue».
Ogni ingiustizia esige una riparazione. Quale riparazione è possibile per le vittime delle varie “stragi impunite”?
«Ogni essere umano ha bisogno di riconoscimento e le persone vivono come una violazione della loro identità il fatto che vengano mistificate vicende che li hanno colpiti nella loro carne e nei legami più stretti. La verità è importante perché è un patrimonio di conoscenza che serve alla società tutta e quindi ricostruirla può dare un significato nuovo alle macerie».
Il Festival si chiude oggi. Alle 11, lo storico Franco Cardini dialoga con Roberta De Monticelli su “Non nominare il nome di Dio invano: religione e politica”. Alle 16, il filosofo Remo Bodei discute con Elisabetta Cattanei su “Dolore, tragedia, conflitto”.
Franca Rita Porcu