Doveva uccidere i cristiani ribelli in Sardegna, ma si convertì
di Manlio Brigaglia Primo maggio, sant'Efisio. Che cosa chiedere a questo santo guerriero più della pace? Della pace in tutto il mondo, e soprattutto pace per i cristiani perseguitati e uccisi: come accadde a lui più di millesettecento anni fa. Mandato in Sardegna da Diocleziano per perseguitare e uccidere i cristiani ribelli alla religione dell'imperatore, finì lui, perseguitato e ucciso forse nel 303, insieme a tanti altri martiri. Dice: “forse”? Sì, perché notizie certe, non solo sul suo nome ma perfino sulla sua stessa esistenza non ne abbiamo. Giovane romano con l’elmo. E invece è bello venerare un santo che ognuno può immaginare secondo la propria fantasia: un giovane ufficiale romano in elmo, lorica e spada, più “antico” di come ce lo presenta la sua statua, che pure portiamo per Cagliari e da Cagliari a Nora in devota processione itinerante fino al luogo del supplizio (mentre la parola “Nuras” della sua “Passio” indicherebbe un luogo della città): un hidalgo impettito dall'aria un po' superba, con i baffetti spagnoleschi , la corazza variopinta e l'elmo impennacchiato. I cagliaritani lo hanno immaginato, nei secoli, soprattutto come un loro protettore, specializzato in apparizioni da difensore della città contro nemici temibili. I grandi pericoli per esorcizzare i quali fu invocato con maggiore intensità sono due. Prima, si dice, nel 1652, all’apparire sull'orizzonte del nord isolano della “grande peste barocca” che per cinque anni avrebbe devastato la Sardegna: quell'anno, infatti, la Municipalità cagliaritana deliberò in seduta solenne che si dovesse invocare il santo e promettergli grandi ringraziamenti se avesse allontanato dalla città «esta ira de la pestilencia»: in più, la festa in suo onore, che già si celebrava al 15 di gennaio, si dovesse celebrare e alla grande, il Primo di maggio, giorno di sole e fiori. La grande rivoluzione. A distanza di un secolo e mezzo la minaccia non fu un male dell'aria ma una flotta potentemente armata, portatrice semmai di una sua peste ideologica, il verbo della Grande Rivoluzione. Il 27 gennaio del 1794 la città fu cannoneggiata «così impetuosamente e spessamente», dice il Manno, che secondo i suoi calcoli, in sei ore, dalle 8 del mattino alle 2 del pomeriggio, cadde sulla città un uragano di bombe, granate e palle: «Contavansi quaranta colpi al minuto»: farebbero 144 mila colpi, ma forse qui la matematica è un’opinione. Molto fuoco, pochi danni. Alle case e ai moli, sì, non agli uomini (meno delle dita di una mano i morti). Manno, spirito laico, non parla qui della protezione del santo, che invece le stampe popolari rappresentarono librato in cielo a fermare le bombe in un volo che si è secolarmente paragonato a quello di un portiere di calcio. Schioppetto e rosario. Ma la sua protezione era già stata chiesta sin dalle prime avvisaglie dell'armata: una grande processione aveva accompagnato il santo al bastione rasente del molo e l'arcivescovo che lo aveva benedetto. Fu una manifestazione di fede popolare che il Manno ricorda con emozione: «Era bello a vedere quel gran numero di miliziani venuti da lontane regioni che marciavano alla sfilata con lo schioppetto nell'una mano e il rosario nell'altra». Si vedranno anche in quest'altra sagra: numero 359, non so se contando o no la più drammatica di esse, quella del 1943, con il camioncino del santo e pochi fedeli che correvano fra le macerie della città distrutta. Quella sì, forse più di altre, un miracolo di fede. Grande spettacolo. Ho usato più d'una volta la parola fede: di cui quest'anno avremo forse una nuova dimostrazione. Meglio, non “nuova”, magari “diversa”. In questa che è la prima grande festa religiosa dell'anno sardo la stessa processione dovrebbe lasciare trasparire quest'altro modo di vivere la fede che la parola di papa Francesco sta diffondendo nella sua Chiesa. Sicché, per dire, anche se ci saranno, sì, i miliziani, ma senza il rosario in una mano, quella che veniva considerata ed era utilizzata come una bella occasione di vedere le meraviglie dei costumi sardi, in poche parole uno spettacolo turistico, rinuncerà a un tantino di folclore per portare in primo piano la sacertà di una processione che a chiamarla “sagra” rimanda troppo alle cavalcate e ai banchetti della stagione delle feste che vengono. Come dice Manno, «la preghiera individuale è vista pietosa: quella di un popolo intero è anche spettacolo sublime».