Eventi Camù: ospite fino a domenica 12 aprile all'Exmà di Cagliari in via San Lucifero
Quelle opere testimoni delle storie di un'Isola
U niversi di pietra, racchiusi in catini di terracotta, affiorano a pelo d'acqua. Vividi, lucenti, quasi animati dalle leggere increspature del liquido che li protegge. L'acqua esalta il colore, la luce e la forma imperfetta delle foglie di scisto, riportando in primo piano la prepotente bellezza della natura. Bisogna dirlo a voce alta, dobbiamo essere grati ad Antonello Ottonello: grazie alle sue opere, raccolte sotto il suggestivo titolo “Colorpietra” (esposte fino al 12 aprile all'Exmà nella mostra curata dalla storica dell'arte Simona Campus, in collaborazione col Consorzio Camù), ci racconta con grazia e poesia un mondo finito, intimamente nostro, sardo, così scelleratamente maltrattato: la miniera. Ottonello lo consegna a una memoria che vuol restare viva, costruita scheggia per scheggia, granello per granello, facendo diventare la pietra robusta radice testimone di storie di uomini, donne, di un'Isola.
Nessuna delle trentasette opere esposte ha un nome, ma ognuna, nella sua elegante armonia, dice di notti buie, rischiarate solo da uno spicchio di luna; di vele che hanno appena lasciato Porto Flavia, cariche di carbone; di pietre nude accuratamente disposte a marcare la cesura tra sabbie di differenti sfumature. «La mia fortuna - ammette con stupore - è stata quella di essere tornato in Sardegna, dopo dieci anni trascorsi a Roma, e di aver scoperto il mondo della miniera, per la prima volta». Con occhi curiosi, puliti. Indispensabili per diventare un “cercatore di pietre” ai piedi della laveria di Buggerru o di Fluminimaggiore, di Carloforte con il suo inconfondibile punto di rosso o ancora dell'Argentiera, e saper provare meraviglia davanti alle venature di colori, dal ruggine all'ocra, passando per l'infinità di grigi, racchiuse nelle foglie di scisto.
Sentieri, paesaggi, riflessioni, splendide geometrie di pietra, sabbia e acqua, illuminate dal bianco delle pareti di un allestimento essenziale, pulito, che restituisce alle opere di Ottonello, così saldamente materiche, una dimensione nuova: è come se galleggiassero, fossero finalmente sospese. Leggere.
“Colorpietra” è l'epilogo di una storia che Ottonello inizia a dipingere poco più di venti anni fa. Scrive la curatrice Simona Campus: «Colorpietra porta a compimento una narrazione intorno al mondo minerario cominciata con la mostra Ingurtosu del 1993. Nel mondo minerario Ottonello ha riconosciuto forme d'elezione naturali e artificiali: poiché la sua vuol essere un'arte di conoscenza profonda, non di mera invenzione; di ragioni per non tacere iniquità, magistralmente sintetizzate nella sofferenza e nella dignità delle “Valigie” e delle “Camicie”, parte della mostra al Teatro Lirico di Cagliari, nel 2010».
Quella ricerca di senso riaffiora, chiara: «Non mi piace fare un corpo - dice - e se devo parlare di sofferenza lo faccio attraverso le camicie». Eccone una, la sola della mostra, imprigionata tra scisto e sabbie.
Distante dal figurativo, Ottonello però offre alla fantasia del visitatore involontarie immagini: un angelo, un Cristo, una razza che nuota a pelo d'acqua e che parla con la pietra della parete vicina: punta con punta. Acuminata, minacciosa, tagliente. In ogni opera ce n'è una, come un imprevisto: «È il pericolo sopportato nel lavoro in miniera», spiega.
Tra le storie di vita, la fiaba dei cavallini della Giara, tre pannelli dove spicca l'ocra. «Nasce da un fatto di cronaca, una strage. Ma la favola narra che un cavallino si salva sempre». Storie forti come queste fascinose pietre, preziosi gioielli della pancia della terra: striate, divise a metà da un segno più scuro, luminose. Perfette, sotto il velo d'acqua. «Non ho fatto nulla - confessa - questo l'ha fatto Gesù».
Caterina Pinna