IL COMMENTO. Reclusione e sofferenza
Alle 19 di domenica quasi 25.000 persone avevano visitato Buoncammino, lo storico carcere cagliaritano, che ha aperto le porte al pubblico grazie alle giornate FAI di primavera, la campagna per valorizzare i beni culturali del nostro paese.
Anziani, giovani, famiglie con bambini anche piccolissimi nei passeggini, tutti in fila per entrare a visitare un luogo, come ha sottolineato Maria Antonietta Mongiu, presidente del FAI regionale, «non solo di sofferenza, quale è stato, ma di straordinario pregio dal punto di vista architettonico e collocato in uno dei punti più panoramici di Cagliari».
Un luogo, appunto, che ieri e oggi ha attirato l'interesse di un pubblico, buona parte del quale il fine settimana è abituato a frequentare non luoghi, come le città mercato, o i vari altri non luoghi della città in cui oggi viviamo, astratti, impersonali, anonimi, perché, come scrivono Ash Amin e Nigel Thrift nel loro volume del 2005 Città: ripensare la dimensione urbana, sono colpiti dalla mercificazione (commodification), dalla materializzazione (thingsification), dalla velocizzazione (speed up) e dalle comunicazioni di massa.
In essi chiunque può facilmente dissolversi nella folla o nel contesto di quei rapporti controllati e automatici che Goffman definisce «abbassamento civilizzato dei fari».
Al contrario di essi Buoncammino è un luogo non solo della memoria, ma anche e soprattutto dell'immaginario collettivo.
Luogo ben visibile nel tessuto urbano della città, con la sua imponenza e maestosità, la cui struttura e vita interne sono tuttavia rimaste, fino a quattro mesi fa, opache e pressoché inaccessibili ai più.
Edificio che dunque è un simbolo di Cagliari perché, come tutti i simboli, è il punto di convergenza e di coesistenza (symballo, metto insieme) di visibile e invisibile, che dentro di sé ospita e racchiude la presenza di un significato chiaro, quello della reclusione e della sofferenza, ma al contempo ne ha sempre nascosto la natura.
Come le sue mura trattenevano al loro interno i corpi e le anime dei carcerati, così il Buoncammino simbolo della detenzione tratteneva dentro di sé il significato arcano e doloroso di questa vita, non esplicitabile, non separabile dall'atmosfera che continua ad aleggiare dentro i lunghi corridoi e dentro le piccole celle che si affacciano su di esse.
Percorrendo, sia pure velocemente, questi spazi molti dei 25.000 visitatori sono forse venuti attratti dalla speranza di riuscire a catturare almeno qualche piccolo spezzone delle tante storie non raccontate che si sono srotolate, per anni e anni, all'interno di queste alte e spesse pareti.
Silvano Tagliagambe