Rassegna Stampa

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Il mondo alla rovescia del carnevale in Sardegna

Fonte: web SardegnaOggi.it
19 febbraio 2009

mercoledì, 18 febbraio 2009


La festa dei folli a Cagliari, “su karrasegare” di Bosa, i carri allegorici tempiesi, “sa Sartiglia” a Oristano, i temibili “mamuthones” di Mamoiada. Da oggi, giovedì grasso, la Sardegna nelle sue città ed in tutti i suoi paesi si vestirà con le maschere, i colori e i costumi tradizionali del carnevale. Una festa dalle origini arcaiche, unica nel suo genere, che tra balli, scherzi, sberleffi, zippulas, coriandoli e fiumi di vino si protrarrà per sei giorni in “un mondo alla rovescia” fino a martedì, quando tutto tornerà alla normalità.

CAGLIARI - “Sa die de su Pesperu” con il rogo di Sant’Antonio Abate è arso e spento già un mese fa, dando inizio al carnevale sardo, che proprio in questi giorni entra nel vivo dei festeggiamenti. Adulti, bambini, uomini, donne, ricchi uomini d’affari o umili disoccupati: tabula rasa. Lo spirito del carnevale è un po’ come “la livella” di Totò, azzera tutto, differenze e gerarchie sociali. Ma non solo, va oltre.

Presente già durante il medioevo, il significato del termine “carnevale” viene fatto comunemente derivare dal latino “levare carnem” per indicare il periodo di astinenza dal mangiare carne, coincidente con la Quaresima. Ma quel “levare” nel corso del tempo si è via via trasformato, si è prestato a smascherare, a togliere il costume alla morale, a strappare il velo d’ipocrisia che vestiva l’ufficialità del regime esistente, ribaltando forme e ruoli della società. Non mancava anche un bisogno di rinnovarsi periodicamente con l’espulsione dei mali che si erano accumulati durante l’anno e la propiziazione di una nuova fase della vita. Così è stato. Allo stesso modo l’antico rito riemerge a Cagliari al ritmo della “ratantina” che con il “Carnevale dei folli”, invaderà strade, piazze, teatri, caffè e cortili dei palazzi, con artisti di strada e di circo, giocolieri, acrobati, attori, musicisti, guerrieri che, l’ultimo giorno, una volta assediato il Castello giustizieranno il re,il fantoccio Cancioffali.

Stessa fine sortirà a Tempio, nell’altro capo dell’isola, “Sua Maestà Re Giorgio”, enorme figura assisa su un trono, a rappresentare il potere in tutte le sue forme grandi e piccole. In ogni caso è l’artefice di tutti i mali della città. Per sei giorni viene osannato e adulato. Il Martedì grasso, sul far del tramonto, il Re, colpevole di tutto, anche di esistere, viene processato e bruciato sulla pubblica piazza. Attorno alla sua morte nascono i carri allegorici e gli sfavillanti costumi oltre la presenza delle cosiddette maschere estemporanee. Persone singole, gruppi grandi e piccoli che hanno deciso di sfilare, fuori da ogni regola, per il semplice gusto di esserci.

Al centro Sardegna invece, nei paesi barbaricini di Mamoiada, Ottana e Orotelli non c’è carnevale senza i terribili Mamuthones che si esibiranno domenica, lunedì e martedì: uomini con indosso “sa mastruca”, un vestito scuro fatto con pelle di pecora, e con il volto coperto dalla “visera”, una maschera di legno nero e stretta al viso con cinghie di cuoio. Sistemati sulle spalle, una serie di grandi campanacci (garriga). Si muovono a passo di danza, il passo è cadenzato ad intervalli uguali danno un colpo di spalla per far risuonare la sonagliera, la cerimonia sembra solenne e non festosa: al loro fianco ci sono gli “Issohadores” che si muovono più agilmente e d’improvviso lanciano un laccio “Sa soha” catturando e tirando a sé come prigioniero uno spettatore che assiste alla cerimonia.

Proseguendo verso ovest da Mamoiada si arriva a Oristano e dalle sembianze animalesche dei Mamuthones si passa agli affascinanti volti androgini che dal 22 al 24 febbraio popoleranno la Sartiglia, una festa contaminata negli anni da elementi sia sacri che profani. Tra tutti il protagonista è “su Componidori”, il signore della festa, uomo e donna allo stesso tempo, né maschio né femmina. Su Cumponidori si presenta a cavallo e con in capo un cilindro nero, la mantiglia, una camicia ricca pizzi, il gilet, una cintura in pelle ed appunto la maschera che incornicia il viso. In mano “sa pippia de maju”, un mazzo di viole, simbolo di primaverile fecondità: gli servirà per benedire la folla e gli altri cavalieri, tracciando nell'aria un segno cristiano e ricevere dopo le spade con cui sfiderà la sorte, cercando di infilzare le stelle sospese nell’aria.

Andrea Deidda