Un tempo, tanto tempo fa, mio zio viveva in un appartamento al primo piano, a Uta. Era, in realtà, una parte della stessa vecchia casa con le mura di fango e paglia in cui era cresciuto con i suoi due fratelli, a venti metri dal vecchio Comune e dal cinema del paese, una casa in cui per andare in cucina dovevi prima passare per il cortile. Era stata ristrutturata, e al primo piano ora c'era l'appartamento dove vivevano mio zio e sua moglie. Si passava, per arrivarci, da una scala così stretta e dal soffitto così basso da far sentire la claustrofobia a un sacco di gente. Ma non a mio nonno, non a mio padre e non a me, data la tradizionale altezza contenuta dei primogeniti della mia famiglia. Però, mio zio era alto. O almeno, allora mi sembrava così. E quella casa non era come le nostre: non aveva un giardino, non aveva un camino, e c'erano la moquette, un impianto stereo in un angolo del salone e dei CD, in un tempo in cui nessun altro che io conoscessi aveva dei CD. Era un appartamento, e dalle sue finestre Uta mi sembrava Manhattan. Era uno studio-flat e le sue finestre davano sulla fifth Avenue, il mondo era tutto diverso, la dentro, perché non c'era nemmeno la TV, o almeno non era mai accesa quando arrivavo io. Quando andavamo a trovare mio zio, ogni volta, sempre, lui prendeva la sua chitarra a dodici corde, e cantava per me. O forse lo faceva per sé, ma io mi sedevo per terra davanti a lui, e mi chiedeva cosa volevo sentire, e io ero il re del mondo. Ho visto l'ultima puntata di una serie tv, ieri sera, e succede che al funerale di uno dei personaggi il protagonista va a consolare il nipote sedicenne dello scomparso, e siccome lui è nel suo garage-studio e sta suonando la chitarra, gli dice: Ti dispiace?, e prende una chitarra anche lui, e gli dice Conosco una canzone che ti piace, e si mette a cantare That's how I got to Memphis, e altri amici dello scomparso si uniscono a loro, e tutti cantano e sono tristi per il funerale ma felici di onorare la memoria di quell'uomo con una canzone così bella. E quel personaggio lì, il protagonista, assomiglia a mio zio. Se ami qualcuno abbastanza, andrai dove il tuo cuore vuole andare. È così che sono arrivato a Memphis. E se solo avessi imparato a suonare, da mio zio, se solo fossi stato paziente e avessi imparato a usare la sua dodici corde. La gente che suona si intende subito, a un funerale come in una casa/studio nel Campidano profondo. Noi altri, possiamo solo invidiarli, e sognare che là fuori non ci sia via S'arrìu, ma la Fifth Avenue. Ecco come sono arrivato a Memphis, ecco come sono arrivato a Uta.