Uno spettacolo di Orlando Forioso con gli attori che hanno fatto la storia della prosa in Sardegna
Valentina Cortese madrina del nuovo teatro
L'emozione di un teatro che torna a vivere ha il volto e la voce di Valentina Cortese. La madrina del Massimo che riapre il sipario a Cagliari dopo trent'anni di silenzio, appare dapprima sul video proiettato sulle quinte, giovane dolente protagonista del Giardino dei ciliegi di Strehler, poi in scena. La grande attrice entra con passo prudente, il lungo abito malva, la lunghissima pelliccia dello stesso colore, il foulard che non l'abbandona mai a incorniciarle il volto. Gli occhi, da lontano, brillano come le minuscole stelle che rivestono la volta del teatro mentre il pubblico le riserva l'applauso più caloroso. La signora Cortese ringrazia Cagliari per il grande onore che le tributa, si rammarica di non avere trent'anni in meno e poi si avvia verso la postazione che l'attende. Si siede e non è più Valentina Cortese a parlare al pubblico. È Eleonora Duse che scrive le sue lettere appassionate ad Arrigo Boito. Ad accompagnarla al pianoforte, a sottolineare le variazioni del cuore, Andrea Marangoni che suona Chopin e Verdi, De Sabata e Boito, Debussy e Ravel. Sempre più stanca, sempre più malata, la Duse attraverso il ricordo della sua infuocata storia d'amore con lo scrittore si avvia verso la morte. Le rotaie percorse con le sue tournée tracciano rughe profonde sulla sua faccia e sul suo corpo. È finita. E Valentina Cortese fa per lei - per il teatro che l'accoglie - un gesto coraggioso e inatteso. Lascia cadere ai suoi piedi la lunga pelliccia, e strappa il foulard che non l'abbandona mai. Ora sono i capelli bianchi schiacciati da decenni di costrizione a incorniciare il suo viso luminoso. A renderla, se è possibile, ancora più emozionante. «Non ho vele per arrivare a nessun porto», dice Eleonora, e si avvia al suo destino. Senza più amore, senza più speranza. L'accompagna la musica della Traviata, l'accompagna la voce di una giovane donna vestita di rosso: il soprano Paola Spissu, Violetta.
Note un po' troppo tristi, dirà più d'uno, per far festa a un teatro che rinasce. Ma Orlando Forioso, regista dell'operazione, non aveva intenzione di fare frizzi e lazzi. «Avrei potuto scegliere questa strada, ho preferito uno spettacolo dedicato all'anima», dice. Uno spettacolo che si era aperto con il clima circense di Bregovic, con il fascino di Rota-Fellini, e si chiude ancora con Verdi e con il Libiamo ai lieti calici diretto dal maestro Boris Smocovich. Sul palco tutti i protagonisti di questo primo assaggio di teatro: Antonio Cabiddu e tutti gli attori del Teatro di Sardegna, vecchia e nuova generazione, che hanno dato vita allo spettacolo, i ballerini di Tersicorea, il giovane cantante Pierluigi Carola che ha esordito con un parodiano Pitzinnos in sa gherra («l'ho scelto, dirà il regista, perché è bravissimo ed è nato quando il teatro chiudeva). E poi il pianista, il soprano, lo stesso Forioso, Guido De Monticelli. Ed Emilio Floris, che sale sul palco a brindare con la Cortese. Stravolta dalla stanchezza, ma felice, e docile, pronta a firmare autografi, a baciare volti sconosciuti, a farsi mettere nuovamente in testa dalla fida governante il foulard trasgressivamente violetto.
Si chiude così, almeno sul palcoscenico, con un forte ritardo sui tempi previsti, la festa che si era aperta con la benedizione di Don Mosè. Si era detto entusiasta per la rinascita di uno spazio «per annunciare la verità»: sembra un ossimoro, non lo è. C'è qualcosa di più vero della finzione scenica? Delle mille storie che negli anni si sono succedute su quel palcoscenico? C'è qualcosa di più vero dell'emozione sentita dai vecchi attori del Teatro di Sardegna tornati nel teatro che li ha visti nascere? Del resto, lo dice Strehler, così evocato nel suo richiamo alla dignità e alla modernità del teatro, «tutte le arti concorrono a realizzarne una sola, quella più difficile, quella di vivere». E allora teatro sia, con i suoi colori azzurri e verdi, il bel ridotto, la sala che mostra le foto di Domenico Manca riferite al passato, lo stemma di Cagliari che sovrasta il palco, realizzato da Mario Renzo Solinas, artigiano di Buddusò. E il logo stilizzato del teatro, disegnato dal ventiquattrenne Federico Bartoli, le opere dei giovani artisti appartenenti alla Fondazione Bartoli-Felter e acquisite dal Comune. Sono di Matteo Ambu, Alessandro Biggio, Erik Chevalier, Simone Dulcis, Andrea Pili, Francesco Puggioni, Antonello Ruscazio, Lorenzo Stea (nessuna donna, peccato, ma si può rimediare no?). Opere che si proiettano nel domani: come quel manifesto del futurismo inneggiante alla velocità e al cambiamento fortemente voluto dall'assessore Pellegrini (che pure ieri ha ribadito di non amare l'arte contemporanea e meno ancora l'architettura) e proposto al pubblico dal poeta-attore Franco Farina nel centenario della pubblicazione su Le Figaro.
Il Teatro va al Massimo, senza dimenticare il prezioso Alfieri. Il Teatro va al Massimo, e annuncia per il 24 febbraio il primo titolo in cartellone: Slava's Snowshow . Quella sera si abbasseranno le luci, nella magia della sala, si illumineranno le stelle, e forse taceranno i telefonini. Ieri mattina molti hanno fatto festa al teatro ritrovato.
MARIA PAOLA MASALA
12/02/2009