il dibattito
di Daniela Paba
CAGLIARI In Brasile, come nel resto dell’America contemporanea, rivive Antonio Gramsci. Il suo pensiero nutre, fin dalla fondazione nel 1980, il Partito dei Lavoratori che ha portato all'elezione di Lula, ma anche la Teologia della Liberazione che ha schierato la chiesa cattolica al fianco dei diseredati, e persino l'ultima riforma della scuola brasiliana. Del resto Gramsci è oggi, in tutto il mondo, oggetto di studi appassionati e fecondi. Di questo si occupa “GramsciLab”, progetto ideato dalle Università sarde per divulgare il contributo di studi gramsciani che rimbalza nell’isola dai quattro angoli del pianeta. Dalla Cina all'India, all'America Latina al mondo arabo, ma anche dai più occidentali USA, Canada, UK e Giappone, Gramsci innerva le più recenti teorie post-coloniali, i cosiddetti cultural e subaltern studies. A inaugurare il ciclo internazionale di seminari, nell'aula magna di Scienze politiche a Cagliari, è tornato Gianni Fresu, ricercatore e studioso di Gramsci che, dopo anni di precariato in Sardegna, quando stava per “mollare” la carriera accademica, è stato chiamato a lavorare all'Universidade Estadual Paulista “Marilia”, una delle migliori del Brasile e ora si appresta a trasferirsi lì con tutta la famiglia. Nel trattare il tema “Gramsci, cittadino del mondo: la diffusione degli studi gramsciani”, Fresu ha spiegato a una platea di studenti e affezionati cultori, la fortuna «dell’autore italiano più tradotto e studiato nel mondo insieme a Dante e Machiavelli» e come il pensiero dialettico e antidogmatico abbia «permesso a Gramsci di sfuggire alle rigide classificazioni, di andare oltre la crisi e il crollo politico-ideologico, di varcare il limite temporale e politico del Novecento», anzi ne abbia fatto la bussola fondamentale per orientarsi nella modernità in tempi di crisi. Categorie come «rivoluzione passiva» e «sovversivismo reazionario delle classi dirigenti» hanno consentito agli studiosi latinoamericani d'interpretare una modernizzazione imposta dall'alto a colpi di stato autoritari e nazionalisti; il concetto di «egemonia» ha largamente ispirato i movimenti d'ispirazione socialista o il sindacalismo. Persino le analisi così specifiche sulla questione meridionale, sul nostro risorgimento e sui rapporti di sfruttamento semicoloniale tra Nord e Sud sono oggi utilizzate per leggere il post-colonialismo americano. In Inghilterra Cosimo Zene usa il nesso gramsciano «religione/oppressione» per capire le vicende dei Dalit in India e la storia degli Indios in Perù non è comprensibile senza le analisi di Mariátegui così vicine a Gramsci. «Gramsci è fondamentale in diversi ambiti disciplinari – ha detto Fresu – dalla pedagogia alla critica letteraria ed è utilizzato nella scienza politica come il teorico dell’egemonia, per aver svelato la natura molteplice del potere». Nel ripercorrere la storia del Novecento brasiliano, il giovane studioso ha tracciato un quadro delle riviste e pubblicazioni attraverso le quali il pensiero gramsciano anima il dibattito intellettuale e politico sullo sviluppo del movimento operaio, sull'evoluzione del Partito comunista brasiliano, sulla repressione durante il colpo di stato e gli anni della lotta armata, ma anche sulla società di massa e la cultura nazional-popolare, compresa la Bossa nova. Nelle relazioni tradizionalmente egemoniche tra Europa e America, Gramsci incarna un raro esempio di dialogo che racconta la storia dei subalterni e dà loro voce.