MERCOLEDÌ, 11 FEBBRAIO 2009
Pagina 37 - Cultura e Spettacoli
LIRICO
GABRIELE BALLOI
CAGLIARI. Quello di Sarah Chang è il nome di spicco sul cartellone del Lirico per il decimo appuntamento con la Stagione concertistica. A Cagliari per la prima volta, la violinista coreana che per la sua verve interpretativa appassiona da anni critica e pubblico a livello mondiale, si è esibita nei giorni scorsi con l’Orchestra del Lirico nel «Concerto in mi minore» op.64 di Felix Mendelssohn. Sul podio Ola Rudner, forse meno noto della Chang, ma ugualmente dotato di profonda sensibilità musicale, rompe il ghiaccio con l’«Ouverture da concerto» di Goffredo Petrassi, esecuzione che subito convince sotto ogni aspetto: la dinamica è accurata, la timbrica lussureggiante, la propulsione ritmica è vorticosa, e le sezioni degli archi sono di una presenza sonora che fende l’aria, soprattutto nel registro più grave di violoncelli e contrabbassi.
Il direttore svedese rende giustizia a questa pagina giovanile, eppure già matura, del grande compositore romano scomparso nel 2003, che nonostante le continue sperimentazioni rimase comunque fedele ad una scrittura riccamente elaborata.
Il programma procede a ritroso: da Petrassi si deve arrivare a Beethoven con la «Sinfonia n.4 in si bemolle maggiore op.60», passando attraverso il «Concerto per violino e orchestra» di Mendelsshon-Bartholdy. È qui che entra in scena il fenomeno Chang, premiata nel 1999 con l’Avery Fisher, tra i più elevati riconoscimenti che un musicista possa ottenere, e nel 2005 col Premio Internazionale Siena dell’Accademia Chigiana. Ma al di là dei numerosi “trofei”, Chang è davvero un portento tanto di fama quanto di fatto, capace com’è di calamitare appieno l’ascolto durante l’esibizione. Va subito detto che in Rudner trova senz’altro un’ottima collaborazione, evidente sia nell’equilibrio fra solista e orchestra, così come nella continuità di fraseggio dall’uno all’altro, o nella superba capacità di passarsi il testimone, sfumando dall’intera compagine al solo violino (e viceversa) con estrema souplesse. Di questa interpretazione ciò che poi colpisce è l’accentuata diversificazione dei tre tempi. Nel primo, l’«Allegro molto appassionato», la Chang non si risparmia certo col “vibrato”, spesso ansioso, inquieto, quasi spasmodico, un fremito che percorre senza sosta ogni linea melodica. Invece nell’«Andante» il tocco si fa molto più mite ed estatico, una fissità angelica e trascendente si staglia sulla malinconia dei temi mendelsshoniani, per giungere poi alle frenetiche convulsioni dell’ultimo tempo, dove la Chang sfodera tutta la sicurezza virtuosistica della sua tecnica.
Rudner, dal canto suo, si dimostra un eccellente interprete di Beethoven. Una lettura della Quarta Sinfonia che avvince per scavo della partitura, per la vivacità dei colori, per la sonorità densa e corposa che ne tira fuori. Giusto qualche pecca soltanto nell’«Adagio» introduttivo al 1º movimento, qualche piccola incertezza che però non toglie all’esecuzione un’indubbia bellezza.