Unioni di Comuni, una lotteria:
25 come minimo, forse anche 40
di Umberto Aime
CAGLIARI Trentacinque, se fa fede l’ultimo censimento dell’Anci, oppure saranno quaranta, ma potrebbero scendere a venticinque, o essere al massimo trenta. Sono questi i tre, quattro numeri più gettonati sulla ruota di una nuova lotteria, questa: quante saranno da marzo in poi le Unioni fra i Comuni? È stata la riforma degli Enti locali, approvata lunedì dalla Giunta, a far scattare l’azzardo delle previsioni. Nessuno sa ancora come andrà a finire, soprattutto perché e giustamente la bozza dell’assessore Cristiano Erriu non propone e tanto meno impone scelte a tavolino. Dovranno essere i territori a scegliere e decidere con chi associarsi e condividere in futuro finanziamenti e servizi. Anche se avrà l’obbligo di aggregarsi col vicino di Municipio, «ogni Comune sarà protagonista del cambiamento», ha detto più volte l’assessore. Il concetto della condivisione Erriu l’ha confermato nel primo faccia a faccia con gli Enti locali, ad appena ventiquattr’ore dal varo della riforma che comunque il prossimo anno dovrà essere approvata dal Consiglio regionale. «Da oggi in poi – ha detto – dobbiamo avere una visione strategica chiara, unitaria e il più possibile partecipata di come cambierà la mappa dell’amministrazione pubblica». Che sarà un passaggio epocale è evidente e i sindaci, rappresentati al tavolo dall’Associazione dei Comuni e dal Consiglio delle autonomie locali, hanno apprezzato «il confronto che c’è stato in questi mesi prima del disegno di legge licenziato dalla Giunta». Il punto d’incontro è stato ed è questo: le Unioni di Comuni dovranno ricalcare la cartina delle «regioni storiche» in cui l’isola da sempre è divisa ma «in cui si riconosce perché aggrega fra loro territori omogenei nella storia, nelle tradizioni, nell’economia e negli interessi culturali». Se queste sono e rimarranno le basi della riforma anche dopo il voto del Consiglio regionale, è chiaro che bisogna ripassare e tenere bene a mente la cartina delle regioni storiche. Il passato. Per chi non si ricorda a memoria le «regioni storiche», ecco quante sono, ventotto, e soprattutto quali sono, partendo da Nord: Nurra, Romangia, Anglona, Sassarese, Monte Acuto, Gallura, Baronie, Meilogu, Goceano, Planargia e Montiferru. Poi Marghine, Barbagia di Nuoro e quella di Ollolai, Campidano di Oristano, Barigadu, Mandrolisai, Barbagia di Belvì, quella di Seulo, Sarcidano e l’Ogliastra, insieme a Quirra. E ancora più a Sud: Marmilla, Trexenta, Monreale, (il Campidano di Sanluri), Parteolla e Sarrabus-Gerrei. Le ultime due regioni storiche sono l’area del Campidano di Cagliari e il Sulcis-Iglesiente. Un buon storico direbbe che i confini delle regioni storiche risalgono soprattutto al periodo Medievale e con il passare degli anni le variazioni sono state minime e questa ripartizione geo-politica si è consolidata. Se fosse questa cartina le Unioni di Comuni dovrebbero essere ventotto. Però alcune delle zone interne, spesso spopolate, sono così piccole da non superare lo sbarramento dei 10mila abitanti, previsto dalla riforma come la prima regola per potersi aggregare. La seconda è questa: le Unioni dovranno essere composte come minimo da quattro Comuni. Su questi due criteri, l’Anci e il Consiglio delle autonomie hanno espresso già delle perplessità. Le hanno ribadite nel confronto con la Giunta, per poi ottenere dall’assessore l’impegno di «una discussione più ampia per arrivare a uno sbarramento che corrisponda di più alla realtà della Sardegna». Il presente. Per la verità le Unioni esistono da tempo e in alcune casi hanno preso il posto anche di alcune storiche Comunità montane. Ma le trentacinque censite dall’Anci non hanno personalità giuridica, prevista invece dalla riforma, e spesso sono state costituite più che altro per fini turistici e meno per condividere competenze e servizi. Qualche tentativo più spinto c’è stato anni fa, ad esempio con la suddivisione fra più Comuni delle spese per rifiuti, scuolabus e polizia locale, ma molti di quegli esperimenti non hanno avuto fortuna. Dunque, è difficile che un domani sia questo il punto di partenza dell’aggregazione fra i municipi. Semplificazione. A questo punto nessuna delle due prove a tavolino potrebbe essere quella giusta. A decidere il rimescolamento, quello definitivo, alla fine sarà l’Osservatorio – previsto dalla legge – in cui la Regione e i Comuni dovranno confrontarsi e certo non sarà facile mettere d’accordo 377 campanili. Anche se nessuno potrà sfuggire e neanche violare questa regola fondamentale: il riordino degli Enti locali dovrà rendere più facile e semplice la vita ai cittadini. Ogni altra ipotesi sarebbe un disastro. Anzi, un inferno di inutili doppioni e molta burocrazia.