L'INTERVISTA. A ruota libera su povertà, violenza, immigrati e Benigni
L'arcivescovo Miglio e la questione del fine vita
M. Francesca Chiappe
Quando lo sguardo si posa sulla palla di vetro al centro della libreria si intuisce una profonda commozione: quel presepe in miniatura è l'opera-regalo di un detenuto di Buoncammino che monsignor Arrigo Miglio ricorda con affetto. «Mi ha scritto anche due giorni prima di morire». Nell'ufficio del seminario, l'arcivescovo ha appena incontrato i sacerdoti del Capitolo metropolitano, poi la giornata sarà un susseguirsi di impegni. Siede su una poltroncina, incrocia le mani e guarda l'interlocutore dritto negli occhi, sempre. «L'incontro di lunedì con gli immigrati “cagliaritani”, uomini e donne di 40 Paesi, è stata una piacevole sorpresa. Mi ha colpito soprattutto il clima tra loro, sono persone che si sentono ben accolte, se non integrate».
Che cosa pensa di chi, al semaforo presidiato dai migranti, solleva il finestrino?
«I motivi possono essere tanti: non si ha la moneta pronta o si sta parlando. Ci si deve sentire liberi, non rispondere non è necessariamente disprezzo, credo che anche gli immigrati capiscano».
Chi sono oggi i poveri?
«La povertà è globalizzata e ci sono povertà di tipo diverso: la Caritas oltre a cibo e vestiario provvede anche alle bollette».
La povertà porta a delinquere?
«Non lo so, forse sì o forse no. Molti fenomeni di violenza succedono in famiglie dove non c'è povertà materiale».
I Comuni fanno abbastanza per i poveri?
«Sono molto impegnati pur avendo poche risorse. Credo che una delle difficoltà sia la giungla di leggi, norme e burocrazie».
E la Chiesa? Deve passare dalle parole ai fatti? In Ogliastra fa pure da banca.
«Già da qualche anno anche da noi sono in atto “il prestito della speranza” e il micro-credito che non tutti conoscono, eppure è stato chiesto da centinaia di persone e, voglio sottolinearlo, l'80 per cento restituisce i soldi».
Il Papa invita la Chiesa alla sobrietà: come si pone il favoloso restauro dell'Episcopio?
«Io ho trovato il restauro già avviato. Si tratta di un palazzo storico che fa corpo con la Cattedrale ed è stato finanziato con soldi pubblici (la Regione). Il Papa parla soprattutto del tenore di vita delle persone, chiede a noi, gente di chiesa, di avere una vita essenziale. La Chiesa ha poi bisogno di strutture. L'episcopio aveva problemi strutturali e non è stata una ristrutturazione lussuosa. Il palazzo è visitabile. Al piano terra andranno alcuni uffici della Curia, il piano superiore è di rappresentanza e di abitazione per il vescovo e i suoi collaboratori. Bisognerà vedere in futuro quale possa essere il miglior utilizzo di questo palazzo».
Il Papa ha aperto i conventi agli immigrati. La Chiesa cagliaritana ha un ricco patrimonio, perfino un bosco.
«Il bosco non l'ho ancora individuato, i giornali hanno scritto che si trova in Toscana, se qualcuno ci aiuta a capire dov'è ci farà un favore e speriamo di realizzare qualcosa per i poveri. Inoltre, non bisogna confondere la diocesi con gli ordini religiosi, autonomi. La diocesi cagliaritana ha in carico quasi tutte le chiese che sono un bel peso economico».
Le donne: crede ci sia parità con gli uomini?
«A livello sociale siamo cresciuti verso una situazione di parità equivalente: si possono avere compiti diversi ma della medesima importanza. Noi crediamo nel valore della diversità tra uomo e donna che però non deve creare squilibrio. A livello familiare e privato, invece, ho l'impressione che stiamo peggiorando».
Sa spiegarsi il perché?
«Bisogna approfondire le cause di tipo culturale che portano a questa violenza. Certo, gli esempi che ci vengono da tanti Paesi non incoraggiano a casa nostra il rispetto della donna. La cultura europea è cresciuta nel rivendicare il rispetto della donna ma, a livello di vita quotidiana, siamo tornati indietro. Alcune conquiste femminili ci avevano illuso di aver raggiunto il giusto rispetto della donna ma troppo spesso vediamo il contrario».
Gli uomini hanno paura delle donne?
«Può darsi. Penso che esista anche un problema relativo alla considerazione e all'“uso” del corpo della donna, ad esempio nella pubblicità».
La scuola di fronte ai cosiddetti bambini difficili sembra inadeguata.
«Servono alleanze educative tra scuola, famiglia e società civile».
La famiglia invece dà l'impressione di chiudersi in se stessa.
«Non si può generalizzare. Ci sono famiglie con grosse difficoltà: i bambini assorbono tutte le tensioni e le scaricano da qualche parte».
Politica e malaffare: ha visto Benigni in tv?
«Certo. Ho apprezzato molto la sua preparazione biblica. Qualche appunto però vorrei farglielo: il settimo comandamento è stato scritto in esperanto, non in italiano».
Non rubare.
«Sì. Gli onesti sono ancora molti di più dei corrotti».
Anche a Cagliari ci sono divorziati che vorrebbero la Comunione.
«Parliamo di divorziati risposati: la regola che chiede loro di astenersi dal ricevere la santa comunione è legata alla visione cristiana del matrimonio che riteniamo indissolubile. Il Papa ci chiede di approfondire questo tema per studiare la strada migliore, non per cambiare l'insegnamento cristiano ma per aiutare le persone concrete. Comunque la Chiesa non esclude totalmente i divorziati risposati, e non sono scomunicati».
Cosa farebbe lei dell'ex carcere di Buoncammino?
«Per prima cosa cercherei la soluzione più economica, visto il periodo. Però, certo, dobbiamo tener conto anche della storia e dell'arte e vedere quanto è avvenuto in altre città, evitando l'abbandono».
Ha letto l'appello di Walter Piludu, ammalato di Sla? Pone il problema del fine vita e dell'autodeterminazione. Questione difficile.
«Diventa meno difficile se distinguiamo tra il rifiuto dell'accanimento terapeutico e l'eutanasia. Noi siamo contro l'accanimento ma anche contro l'eutanasia perché padrone della vita è Dio solo. In ogni caso è necessario un accompagnamento dell'ammalato con cure antidolorifiche (ne parlava già Pio XII sessant'anni fa), che possono abbreviare in certa misura la vita e aiutano a morire con dignità. Dal punto di vista etico è fondamentale la consapevolezza di non essere padroni della vita, pur cercando di ridurre il dolore il più possibile. È un sentiero stretto, ma di lì dobbiamo passare. Dal punto di vista legislativo bisogna valutare anche la ricaduta educativa e sociale delle leggi. Ogni legge crea cultura: quale cultura vogliamo costruire? Vogliamo davvero che il valore della vita umana sia centrale? Allora dobbiamo valutare bene le scelte legislative da fare. Aiutare a morire con dignità è cosa diversa da intervenire per interrompere una vita».
@mfchiappe