Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Bimbo vivace: inchiesta

Fonte: L'Unione Sarda
16 dicembre 2014


LA VERGOGNA. Il bambino di 10 anni “costretto” a casa da 20 giorni

 

La Procura apre un fascicolo sull'alunno rifiutato



 

Irrompe la Procura della Repubblica: nella vicenda del bimbo vivace che non va a scuola dal 26 novembre dopo la protesta dei genitori dei compagni di classe, la magistratura ha aperto un'inchiesta. Inosservanza dell'obbligo dell'istruzione elementare dei minori, è il reato ipotizzabile. A carico di chi - genitori, insegnanti, dirigenti scolastici - saranno eventualmente le indagini a stabilirlo. Per il momento il fascicolo contiene gli articoli di giornale che hanno riportato la vicenda, dal momento che nessuna segnalazione è arrivata dalla scuola. Ma non è tutto: inchieste analoghe potrebbero essere aperte per ognuno dei diversi episodi accaduti a Cagliari e nell'hinterland nell'ultimo mese, con bambini delle elementari e delle medie costretti a casa perché “problematici”.
Il primo caso, lo scorso novembre: un'intera classe ha saltato la lezione per la presenza di un bimbo di dieci anni che, pare, in precedenza aveva estratto un coltello davanti a tutti: «Finché non se ne andrà, i nostri figli non entreranno», hanno detto le altre famiglie in coro. Poi l'episodio del piccolo che a soli 5 anni avrebbe colpito la maestra dell'asilo con una testata (episodio negato dai genitori), ultimo di una serie presunta di avvenimenti che avevano spinto i papà e le mamme dei compagnetti a chiedere l'intervento del preside: «Abbiamo paura di mandare i nostri figli in classe». Il bimbo ora è tornato nella sua vecchia scuola per decisione della famiglia. A inizio dicembre invece, a Capoterra, gli alunni di una classe delle medie non si sono presentati perché ancora non era stato affiancato un educatore a un'alunna con problemi comportamentali. Ma il caso più clamoroso, a meno di altri simili ancora non venuti a galla, è proprio quello del bimbo cagliaritano di dieci anni che non può andare a lezione da venti giorni. Da quando in cui i genitori dei compagni si sono rifiutati di far entrare i figli in classe. Il motivo? Il bambino sarebbe “pericoloso”.
Tutti problemi di non facile soluzione. Da una parte i genitori degli alunni tenuti a distanza perché ritenuti “difficili”; dall'altra quelli dei compagni, intimoriti da atteggiamenti ritenuti violenti (reali o no, comunque certamente vissuti come tali). In mezzo, insegnanti e dirigenti scolastici. E qui sta il punto: in tutto questo, può essere davvero configurabile un reato? E, nel caso, quale? Materia ora degli inquirenti, ma il lavoro di approfondimento non sarà breve né semplice. Il primo passo sarà valutare i singoli episodi e, se fosse ritenuto il caso, aprire un'inchiesta penale. Poi, valutati i risultati delle indagini, si deciderà se ipotizzare un reato specifico e iscrivere qualcuno nel registro degli indagati. Difficile, se non improbabile, contestare la violenza privata: si parla di tensioni interpretabili in vari modi a meno che non vi siano dietro delle minacce. E che si possa dimostrare che ci sono. E poi: da parte di chi? Dei genitori degli altri alunni? Dei docenti? Dei presidi?
L'unica evidenza, per quanto filtra dagli uffici della Procura, è che al momento ci sono diversi piccoli alunni che non vanno a scuola e che dunque si potrebbe ipotizzare la violazione dell'articolo 731 del codice penale: “l'inosservanza dell'obbligo dell'istruzione elementare dei minori”. La responsabilità in capo a chi cadrebbe? Ai genitori? A qualcun altro e, nel caso, chi? Oppure i papà e le mamme sono stati costretti ad agire in quel modo? Insomma, è tutto da valutare anche perché ogni episodio fa storia a sé. Di certo, si lasciano sfuggire gli inquirenti, «nelle scuole c'è un clima complessivo che preoccupa». Ora spazio alle indagini.
Andrea Manunza