IL FUTURO DI BUONCAMMINO. Per il manager di Condé Nast può attrarre investitori
Fedele Usai: carcere aperto ai talenti di tutto il mondo
Gli impegni professionali lo portano ogni settimana in giro per il mondo. Ma Fedele Usai, pubblicitario e creativo, ora direttore generale del gruppo editoriale Condé Nast, segue le vicende sarde e cagliaritane con la stessa attenzione dei tempi in cui, ginnasiale, frequentava il Dettori. Sa della chiusura di Buoncammino e del trasferimento del carcerati a Uta e, dal suo ufficio di Milano, dà all'evento il significato di una svolta epocale. Si concede subito una riflessione, con lo sguardo già orientato ai possibili scenari: «Nei miei ricordi di adolescente, non so perché, quel carcere, forse per la bellezza della posizione, forse per il fatto che i cagliaritani non davano un'accezione negativa, non ha mai rappresentato una struttura da recuperare», dice Usai. «Oggi sento parlare di “restituire” Buoncammino ai cagliaritani e mi sembra una colossale baggianata».
In che senso?
«Il carcere è sempre appartenuto ai cagliaritani, a quelli più sfortunati, a quelli che sbarcavano il lunario, a quelli di una Cagliari povera che si riprendeva da una guerra infame e che faticava a trovare un compromesso accettabile tra legalità e sussistenza. E Buoncammino stava lì a ricordare a tutti, con la sua prorompente bellezza, le ferite e le sofferenze della città».
Che cosa vedrebbe al posto dei carcerati?
«Sognando per un momento, mi piacerebbe che diventasse simbolo di apertura e accoglienza universale. Immagino un centro di eccellenza in grado di accogliere talento da tutto il mondo: ingegneri pakistani, programmatori indiani, creativi brasiliani, designer marocchini, designer italiani, chef francesi. Un incubatore di idee, energie e progetti frutto dell'integrazione di esperienze e talento provenienti da ogni angolo del pianeta in grado di intercettare i grandi flussi di finanziamento privato che purtroppo girano al largo dalla Sardegna e dall'Italia».
Progetto interessante, ma forse utopistico.
«Sarebbe un modo per liberare Cagliari dal giogo terribile dell'elemosina delle briciole che cadono a intermittenza dal tavolo sempre meno ricco dei finanziamenti pubblici. Energie nuove che vengono da posti lontani in grado di farci vedere quella bellezza che non riusciamo più a cogliere, in grado di offrirci punti di vista diversi, di farci uscire da quelle grette certezze che ci hanno portato fin qui».
Sicuro che la via sia questa?
«Il mondo è diventato più piccolo, la competizione non è più tra Stati-Nazione ma tra territori. E a uscirne vincitori saranno sempre di più i territori capaci di intercettare e attrarre talento. Tutto il resto è populismo a buon mercato promosso da un'oligarchia troppo stanca per condurre la città da qualche parte».
Lei ha partecipato al lancio della 500 sui mercati Usa. È difficile far conoscere al mondo un piano per Buoncammino?
«La migliore pubblicità possibile è un nuovo modo di vedere le cose. E il carcere che guarda il mare può diventare il simbolo di una nuova rinascita, che non passa più da noi, o almeno non solo, ma dalla nostra capacità di offrire a ragazzi di tutto il mondo la possibilità di esprimere qui tutto il loro talento. Facciamo sapere a tutto il mondo che a Cagliari c'è questa opportunità: alla fine è un modo per guarire dal provincialismo tipico della nostra terra».
Come possiamo farlo sapere?
«La domanda vera è: perché non chiediamo a un urbanista giapponese che cosa farebbe di Buoncammino? Perché non a un ricercatore sudafricano? Sono certo che direbbero cose più interessanti delle mie».
Lorenzo Piras
@lorenzopiras71
Dal lavoro con Marchionne a Vanity Fair
Fedele Usai, 43 anni di Quartu, è laureato in filosofia teoretica alla Cattolica di Milano, dopo aver frequentato il ginnasio al Dettori di Cagliari e conseguito la maturità classica con il massimo dei voti all'accademia militare Nunziatella di Napoli.
Pubblicitario e creativo, ha maturato un'importante carriera nelle principali agenzie: Bgs, Bates, Leo Burnett e Tbwa. Di Tbwa nel 2009 è diventato amministratore delegato dopo essere passato per Fiat, chiamato da Sergio Marchionne a guidare per due anni la comunicazione internazionale.
A settembre 2011 è entrato a far parte del vertice Condé Nast, di cui ricopre la carica di Deputy Managing Director (direttore generale) con l'obiettivo di dare maggior forza ai brand editoriali del gruppo (che edita riviste come Vogue, Vanity Fair e Traveller) sulle diverse piattaforme.
Sposato, tre figli, è un grande tifoso del Cagliari e amante del mare di Carloforte, dove ogni anno trascorre le ferie estive. (lo. pi.)