Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

«Un Betile aperto alla città»

Fonte: L'Unione Sarda
9 dicembre 2014


IL FUTURO DI BUONCAMMINO. Lo stilista realizzerà un'esposizione di foto e arte

 

Antonio Marras: il carcere luogo di dialogo e confronto

 


È partito per New York giovedì e, in queste ore, nella Greene Street di Soho, presenta la collezione autunno-inverno 2016 al pubblico americano. È un periodo di impegni pressanti per Antonio Marras, stilista algherese, nome nobile dell'alta moda. Ma se la mente è rivolta al mondo, il punto di partenza resta sempre la sua terra. E nel dibattito sulla riqualificazione di Buoncammino - il carcere cagliaritano che due domeniche fa ha chiuso celle e porte blindate dopo 159 anni - non fatica a intervenire. Tutt'altro. Conosce la struttura: «Ho visitato dei luoghi interessanti, a Cagliari», dice. «Tra questi il carcere. È stato toccante vedere l'ingresso, che dà l'idea di un passaggio verso un'altra dimensione. Mi sono state mostrate la biblioteca e l'ufficio del direttore, ma non le celle. In quel momento, comunque, mi è venuta l'idea di realizzare lì qualcosa: la farò presto». Rivela: «Un'amica fotografa, Daniela Zedda, ha immortalato nei suoi scatti l'interno del carcere quando era ancora casa di detenzione. Io spero di essere a Cagliari entro fine dicembre per fotografare i luoghi vuoti, come si presentano ora».
E poi?
«L'idea è quella di descrivere il prima e il dopo attraverso un'esposizione non solo di foto, ma estesa alle più varie espressioni artistiche. Naturalmente a Buoncammino».
È la sintesi di quel che farebbe lei del carcere?
«Il carcere è stato un luogo di comunicazione straordinario e tale deve restare, seppur aperto alla creatività e all'arte. Libero».
Cioè?
«Era commovente, ma straordinariamente bello, vedere la gente in fila, sotto le finestre chiuse con le sbarre, per parlare con questo o quel detenuto. Era comunque un momento di contatto: di dialogo».
E in futuro?
«Non ci vedo senz'altro gli uffici dell'amministrazione penitenziaria: sarebbe folle farli lì. La posizione è incantevole. Ci sono tanti palazzotti liberi in periferia».
Che cosa immagina allora?
«Uno spazio, dove siano possibili confronto e paragone di elementi diversi tra loro, che la gente non conosce».
Un museo della sardità?
«Molto di più. Un museo internazionale che parli di Sardegna ma che dialoghi con quel che sta fuori. Uno spazio che non annoi, dove portare la gente per vedere magari, in un'esposizione ricca di sorpresa, lontana dai cliché museali classici, accanto ai Giganti di Mont'e Prama una statua di Giacometti. Oppure la Madre di Nivola accanto a elementi giapponesi».
Una sorta di Betile senza approdo per le barche?
«Sì, ma con il mare davanti e orizzonti planetari. Ho fatto parte della commissione del Betile: mi piacerebbe che quel progetto ispirasse il continuo bisogno che un museo ha di innesti e contaminazione. Penso all'inaugurazione del museo di Reggio Emilia, che ha proposto esposizioni di grande interesse ma anche, da mezzanotte, la musica di una band».
Quali prospettive vede, più in generale, per Cagliari?
«La città mi piace molto. Mi ricorda Napoli, Genova e Istanbul. È messa in una posizione meravigliosa. Di recente ho visitato una chiesa straordinaria, quella di Sant'Agostino: altrove ne avrebbero fatto un sito con la fila di visitatori fuori. Non siamo capaci di valorizzare le cose che abbiamo, ma non possiamo più fare affidamento solo su mare e sole».
Lorenzo Piras
@lorenzopiras71


Dal negozio del padre alla maison Kenzo

 


Antonio Marras è nato cinquant'anni fa ad Alghero e nella città catalana continua a vivere, nonostante sia diventato uno dei designer più noti dell'alta moda italiana.
Suo padre Efisio era commerciante di tessuti e lui da ragazzo lavorava nel negozio di famiglia. Nel 1987 è chiamato da una ditta romana a disegnare collezioni di prêt à porter e nel '96 ha presentato a Roma la prima collezione personale. Nel marzo '99 la prima sfilata a Milano: esordio col botto. Inizia a farsi conoscere, distinguendosi per la poetica e i richiami ad arte e letteratura.
Nel 2003 la grande chance: diventa direttore artistico della maison Kenzo di Parigi. Un'esperienza che dura sino al 2011. Numerose le incursioni nell'arte, nella letteratura, nella poesia: il progetto “Trama doppia”, le mostre, “Llencols de aigua” con Maria Lai, “Uno più uno meno” con Claudia Losi, “Noi facciamo. Loro guardano” con Carol Rama, “Archivio provvisorio” per la Biennale di Venezia e tante altre iniziative. (lo. pi.)