Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Ironia e musica, Moni Ovadia diverte e incanta

Fonte: L'Unione Sarda
9 dicembre 2014


TEATRO. Cabaret Yiddish

 


C anta, balla, fischia e dirige i suoi orchestrali, Moni Ovadia. E soprattutto racconta il vecchio mondo ebraico, i rabbini coi cernecchi e le mamme possessive, con quel particolare umorismo che si chiama witz. Ci vuole ironia, per parlare di pogrom e diaspora, ci vuole talento per far divertire il pubblico con la storiella di Mosè che s'infuriò col suo popolo errante nel deserto perché aveva fuso tutti i preziosi per il Vitello d'oro anziché far circolare i contanti che fruttano di più. In Cabaret Yiddish , allestito al Massimo dal Teatro Stabile della Sardegna, è la musica klezmer a portare sul palco atmosfere balcaniche, polacche, russe. Al violino Maurizio Dehò, al clarinetto Paolo Rocca, alla Fisarmonica Albert Florian Mihai, al contrabbasso Luca Garlaschelli, al suono Mauro Pagiaro, in uno spettacolo che parla, con apparente leggerezza, della condizione dell'esilio. Moni Ovadia è nato in Bulgaria ed è cresciuto a Milano. «Sono stato un piccolo profugo, dice, e l'Italia è il mio paese. La mia gente ha vissuto la coercizione, è stata costretta ad abbandonare tutto ma in questa tragedia ha trovato un suo splendore, ha elaborato un'anima speciale. La nostra musica è venuta via con noi e la nostra lingua è una miscela delle parole straniere imparate da migranti». Stenta a congedarsi dagli spettatori, Ovadia. Percepisce che le canzoni in yiddish raggiungono la sensibilità di tutti, nonostante i testi incomprensibili. Gli bastano la gestualità e qualche passo di danza per essere capito. E per sgominare, semplicemente mettendoli in ridicolo, i tre capisaldi più tradizionali dell'antisemitismo: i nasi lunghi dei giudei; il loro senso degli affari; la loro straordinaria intelligenza. Calunnie! «Abbiamo nasi normalissimi, ci facciamo imbrogliare anche noi , abbiamo cervelli buoni e cattivi. Più o meno come i cristiani e i musulmani o i fedeli di altri credo». Comunque, conclude, Dio preferisce gli atei.
Ad ascoltarlo, vengono in mente i romanzi di Joshua Singer, ebreo che non conobbe l'Olocausto ma descrisse le comunità dei suoi correligionari con la stessa lucida chiarezza . Sparsi per ogni angolo d'Europa, cittadini onorati per parecchie generazioni e poi osteggiati e in fuga.
Alessandra Menesini