NEW YORK TIMES.
Robert Cohen in “una città conviviale ma dall'amministrazione immobile”
nnamorarsi di Cagliari seguendo la rotta di “Mare e Sardegna”
Lawrence di Sardegna” il lungo reportage scritto da Robert Cohen e pubblicato da New York Times l'11 luglio. Ne pubblichiamo la prima parte.
“Non mi interessano le isole”, scrisse una volta D. H. Lawrence. Io condivido questo pensiero con l'illustre scrittore, ma mia moglie no, ed è per questo che la scorsa primavera ci siamo ritrovati in Sardegna.
Se Lawrence lo pensasse davvero non ci è dato sapere con certezza. Al tempo, era il 1921, stava vivendo in un'isola (la Sicilia) in esilio da un'altra isola (la Gran Bretagna), e sul punto di imbarcarsi per un improvvisato viaggio per una terza (la Sardegna), che avrebbe poi portato lo scrittore a scrivere “Mare e Sardegna”, con il suo incipit così affascinante: “Si viene assaliti da un'assoluta necessità di muoversi”.
Per Lawrence la vita è sempre stata in media res. Era troppo impaziente per rimanere a pensare alle ragioni che lo spingevano a muoversi, troppo affascinato dall'idea per chiedersi da che parte andare. Ovunque andasse, si aspettava sempre troppo. Non ci deve quindi sorprendere che il ritratto della Sardegna risulti simile a quell'altra isola, altrettanto difficile e spinosa, che era Lawrence stesso.
Non vi trascorse molto tempo e non prese appunti. Era sempre alla ricerca di qualche verità scomoda, di quelle che o si vedono al volo o non si vedono per niente. “Il mio giudizio può essere completamente sbagliato”, ammetteva, “ma questa è l'impressione che io ho avuto”.
La Sardegna è stata spesso oggetto di impressioni. I Greci la chiamavano “Ichnusa”, impronta (di un piede): quando Zeus creò la terra, recuperò i pezzi che gli erano avanzati, li buttò in mezzo al mare e li schiacciò con il piede: voilà, la Sardegna. Gli invasori hanno seguito il suo esempio, lasciando la loro impronta ad ogni passaggio: Fenici, Romani, Pisani, Catalani, milionari con lo yacht, scrittori indolenti e scontrosi.
Eppure, la Sardegna è riuscita a mantenere il suo aspetto così ruvido e intransigente: “Persa tra l'Europa e l'Africa, e senza legami con nessuno di questi luoghi”, come diceva lo stesso Lawrence. Ed è proprio questo “stare in mezzo”, al contempo centrale e marginale nella storia, che lo aveva attratto.
E che ha attratto anche noi! Siamo venuti per ripercorrere il viaggio di Lawrence nell'isola: da Cagliari, nel sud, fino alle montagne del Gennargentu, e poi su fino a Olbia. Un itinerario tortuoso e difficile, interrotto da spettacolari tornanti. Lo stesso itinerario che Lawrence definì così: “Si vira repentinamente da fugaci momenti di esaltazione (la gioia del viaggio, l'aspetto così selvaggio del panorama, la generosità di un contadino) all'esasperazione più nera (praticamente tutto il resto)”. Per fortuna viaggiava con sua moglie, la formidabile Frieda (si riferisce a lei come Q.B., la queen bee, l'Ape Regina), le cui puntuali osservazioni smentivano il burbero scontento del marito.
Anche mia moglie è un tipetto positivo e assertivo. Come l'Ape Regina, non solo ammira la Sardegna, la assapora e la respira. Già al nostro arrivo a Cagliari si era innamorata di tutto: i portici illuminati di Via Roma, le passeggiate delimitate da palme, le imponenti torri pisane che si elevano come sentinelle dai tetti della città.
Anche se Lawrence trovava la città piuttosto piatta e ferma, noi stiamo dalla parte di Frieda. C'è un'atmosfera di non frenesia, una sensazione di benessere, un'aria di convivialità. Vero, gran parte della città è stata distrutta dalle bombe degli alleati, e non è stata ristrutturata in modo sempre gradevole. Vero, l'amministrazione è abbastanza latitante. Ma Cagliari è lì da 3000 anni; e non sta andando da nessuna parte. (1 - Continua)
Traduzione
Rosella Zoccheddu