T utta colpa di Filippide, che aveva molta fretta di annunciare agli ateniesi la vittoria sui persiani. Partì da Maratona e dopo aver percorso 40 chilometri con l'armatura addosso stramazzò al suolo nell'Acropoli davanti ai suoi concittadini. Andar veloce era il suo mestiere, dal momento che era un emerodromo, ossia un portatore di messaggi. Funzione che giustificava la fatica cui si sottopongono, in un'era molto lontana dal 490 a.C., tutti gli atleti che si cimentano in una gara che conserva qualcosa di epico ed è disputata a quasi tutte le latitudini. Regina per fama e risonanza, la “Maratona di New York”. Titolo del testo di Edoardo Erba prodotto dal Teatro di Sardegna e messo in scena al Teatro Massimo di Cagliari con la regia di Francesco Brandi. Sulla pedana, con le scarpe da ginnastica, Corrado Giannetti e Luigi Tontoranelli. Che fanno stretching, sciolgono i muscoli, ansano, sudano, parlano. E si accusano, s'insultano, si rinfacciano antichi torti e supposti tradimenti mentre si allenano in vista della gara che attraversa in autunno i cinque distretti di New York City. Il pubblico ride, nella sala allestita appositamente per ospitare lo spettacolo, ma il sottofondo è drammatico. I due valorosi interpreti recitano e corrono allo stesso tempo, in uno sforzo per niente fittizio. Ben equipaggiato, Steve. Piuttosto sciatto Mario.
Uno traina, l'altro segue. E più i corpi si tendono, minore è il controllo della mente. Fanno discorsi da caserma, per darsi forza. Machismo da spogliatoio, con accenni alle donne che hanno o non hanno avuto. Intanto vanno e il loro moto costante, la loro fatica fisica, genera ansia negli spettatori. Dove vanno, poi, e perché. È notte, e nel buio non trovano né il paracarro né il passaggio a livello che sono le mete intermedie di una corsa verso il nulla. A tenerli in pista è il rancore. Buon carburante per non crollare, sentimento pericoloso, tuttavia.
È amaro, il soggetto di un lavoro che ha esordito nel 1993 al Teatro Due di Parma con Luca Zingaretti e Bruno Armando. Tradotto in 17 lingue, è stato messo in scena quasi dovunque: Parigi, Boston, Edimburgo, Montevideo, Tel Aviv, Barcellona, Buenos Aires, Zagabria, Santiago del Cile, per citare alcune città. Evidentemente la “Maratona di New York” tocca temi universali. Il suo autore, Edoardo Erba, dichiara di aver pensato a Beckett, Pinter, Borges. Ingannevole, infatti, è l'assunto dei due amici che si fanno una sgambatina. Hanno da espellere le tossine del cuore, più velenose dell'acido lattico. La loro tensione si scioglie in un finale enigmatico che nulla spiega se non il capovolgersi di una gerarchia diventata insopportabile. Si scambiano i ruoli, vittorioso e perdente, nella nebbia bucata da una luce livida.
Repliche oggi e domani e dal 9 al 21 dicembre.
Alessandra Menesini