In pensione Sebastiano Tiralongo, storico commesso a Palazzo Bacaredda
Il rimpianto più grande? Dopo quasi trent'anni non potrà più fare il mazziere nella sfilata di Sant'Efisio: «Bisogna essere dipendenti del Comune». Sebastiano Tiralongo ha lavorato a Palazzo Bacaredda per quarantatré anni: assunto a sedici nelle officine del Municipio, poi commesso d'aula in Consiglio comunale per una vita. In pensione da un mese, racconta di essere “figlio d'arte”: «Mio padre è stato l'autista di tanti sindaci, da Giua a Paolo De Magistris». Sessant'anni, membro della confraternita di Sant'Efisio, sta scrivendo un vademecum per gli Alter nos: «Non esiste una guida, ma ho trovato documenti del 1740».
Qualche Alter nos è caduto da cavallo durante le prove?
«Un episodio c'è stato ma non voglio fare il nome. Dico solo che ora è in Consiglio regionale».
Il protocollo viene rispettato?
«Ultimamente sì. Anche se in passato alcuni sindaci svilivano le cerimonie del Primo maggio. Nel rito di nomina dei mazzieri qualcuno azzardò un tiè, spassiaisì . Ora non è più così».
Una vita a contatto coi politici: qualcuno guarda dall'alto in basso?
«Tanti. Ma facciamo finta di niente. Io e i miei ex colleghi abbiamo il fegato di caucciù».
Un giudizio sui consiglieri in carica.
«Nell'ultima consiliatura ho conosciuto tanti giovani, con una bella testa, credono in quello che fanno».
Il più furbo?
«Aurelio Lai».
Il più simpatico?
«Lorenzo Cozzolino».
Il più antipatico?
«All'inizio credevo che Filippo Petrucci lo fosse, poi l'ho conosciuto e ho cambiato idea».
Risse in aula?
«Una volta Ghigo Solinas e Radouan Ben Amara stavano per picchiarsi. C'è mancato poco. Ghigo è stato il miglior presidente del Consiglio comunale».
Conta più il sindaco o il direttore generale?
«Il sindaco è il vertice di una piramide che sta in piedi solo se c'è una buona base. E la base viene controllata dal direttore generale».
Furti in Municipio?
«Una volta rubarono la Montblanc a don Paolo De Magistris durante una riunione di Giunta. Nella stanza c'erano solo gli assessori».
Mai pensato di candidarsi?
«No: mi è venuto il rifiuto di questo mondo. Andare in pensione è stato un po' come togliersi un cappotto, che non voglio più indossare».
Il momento più toccante?
«Quando sono andato all'aeroporto di Elmas con il gonfalone ad accogliere le salme dei caduti di Nassiryia».
Michele Ruffi